Inizio col fare una piccola precisazione. Il giglio
di mare in realtà non è un giglio. Probabilmente questo nome gli è stato dato
per la somiglianza che ha con quest’ultimo per via dello stesso perigonio
imbutiforme a sei tepali (ossia la parte esterna del fiore costituita dai
tepali) e le antere vistose. Ma… guardandolo attentamente si scorge una
considerevole similitudine con un altro fiore, il narciso. Ormai ben noto a
tutti noi (a chi ancora ignoto, corra a vedere il post precedente). Entrambi
i fiori appartengono alla famiglia delle
Amaryllidaceae e condividono alcune similitudini morfologiche tra cui, la più
spettacolare ed evidente: la paracorolla.
Opinione piuttosto condivisa tanto che in inglese il nome comune più usato,
nonostante compaia anche come Mediterrean lily e Lily of S.Nicolas (Lily =
Giglio), è proprio Sea Daffodil. Qualche volta appare anche come sand
daffodil… ma che sia di mare o di sabbia sempre di daffodil si tratta. E
infatti si sa, gli inglesi in quanto a precisione proprio non sgarrano. Anche
il francese lo conosce come Narcisse de mer e Pancrace tyrrhénien (anch’esso
un nome piuttosto preciso, di cui capirete a breve) ma, allontanandosi dalla
proverbiale meticolosità anglosassone, preferisce chiamarlo Lis de mer
(giglio di mare). Tendenza condivisa dall’italiano (lingua da voli pindarici di
poesia) nel quale pur comparendo come Narciso di mare preferisce il nome di
Giglio di mare o, per gli anglofili, i più precisini, Giglio pancrazio.
Ma c’è un nome che mette d’accordo tutti, quello
botanico, ossia Pancratium Maritimum. Il nome del genere deriva dal greco pan
= tutto e kratos = potenza, mentre quello specifico deriva dal latino
maritimum = marittimo. Probabilmente con questo nome si alludeva alla
capacità della pianta di resistere alle difficili condizioni del suo habitat
o alle presunte virtù medicinali, infatti sarebbero edibili le radici e i
semi. Tuttavia è ritenuta una pianta tossica per via di alcuni alcaloidi che
darebbero degli effetti allucinogeni, quindi, come sempre, meglio chiedere un
parere a un professionista prima di assumere qualsivoglia parte della
pianta.
Il pancratium maritimum è una bulbosa perenne
originaria del bacino mediterraneo
europeo. E’ provvisto di foglie basali e
nastriformi di color verde glauco e dotate di una lieve scanalatura centrale,
spesso marcescenti durante la fioritura. Sono
larghe 1 - 2 cm e lunghe fino a 50 - 60
cm, succulente, ritorte a spirale e particolarmente flessibili e resistenti.
Forma e consistenza che garantiscono un ostacolo naturale contro i detriti,
quale sabbia e quant’altro, depositati dal vento. Dalle foglie si erige lo scapo afillo (ossia privo
di foglie), alto dai 20 a 50 cm, al cui
apice si trova un’infiorescenza a ombrella provvista di 3 - 10 fiori grandi e
di color bianco.
E infine l’incantevole
fiore, provvisto di corolla e paracorolla. La prima ha sei
tepali lanceolati (a forma di punta di lancia, quindi sottili e appuntiti)
che sul lato esterno presentano una striatura verde nel mezzo. La corona
invece è ampia, largamente campanulata ed è composta da 6 lobi biforcati che
formano 12 denti triangolari tra cui sono inseriti i sei stami sormontati
dalle rispettive antere gialle a forma di arco, mentre dal suo centro si innalza
il pistillo sporgente, l’organo femminile del fiore (fondamentale per
l’impollinazione). Pistillo che, una volta scomparso il fiore, darà
vita ai frutti, capsule ovali e coriacee di 2 – 3 cm, che a maturità, verso
Ottobre, si apriranno per far fuoriuscire i semi, di color nero lucente e di
forma irregolare.
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Frutti |
A proposito… pistilli, semi, polline ecc… vi
ricordan qualcosa, e se dico api, apine, apucce? Ho usato la parola chiave, lo
sapevo, iniziano a riaffiorare ricordi nelle vostre menti. Lontane lontane
lezioni trascorse su piccoli banchi… i quadernoni rigorosamente a quadretti
(perché, si sa, per le materie scientifiche il quadretto era d’obbligo, raramente
e in via del tutto eccezionale, e soprattutto con maestre appagate e felici, veniva
consentita la scelta tra il quadretto piccolo e grande) e noi a disegnare api
piccine, paffute, tanto obese da sembrare libellule, e pure appesantite,
aliene e poi quelle da selfie, con tanto di ciglia e sorriso contornato da
procaci labbra rosse. Già, chi non ricorda le api e i loro svolazzamenti tra
un fiore e l’altro: metafore, spesso poco comprese, di ben altre
impollinazioni. E già, quanto caos han generato!! Caos e traumi… scoprire che
la cicogna non ha alcuna predilezione per i neonati e tutt’al più ti ottura
la canna fumaria. Per non parlare dei cavoli che, a parte che non ci saresti mai
stato (eri piccolo ma non uno gnomo, le prove? I filmati di 35 ore e un
quarto girati da tuo padre mentre… dormivi, immobile) non avrebbero potuto
sostenere il ritmo dei nuovi arrivi (si sarebbe cercata vita su Marte, sì, ma
per piantarci cavoli) e poi tutta quell’umidità. Come se non bastasse arrivan
‘ste api a complicare il tutto, il polline assume l’aspetto di una ciurma di
girini nevrotici e proprio non riesci ad associare tutto l’ambaradam al
pancione di mamma. Qualcosa sfugge, manca, vuoi capire! Indici summit al
parco coi tuoi compagni e, dopo lo scivolo e la merenda provi a venirne a
capo ma vengon prodotte astruse teorie. I più romantici e tradizionalisti
optano per una mamma che ha fatto incetta di cavoli portati da una cicogna (perché
a una relazione con la cicogna proprio non potevano rinunciare) e oplà, in
uno, a modi spora, c’eri tu con le sembianze da girino che, come un semino
mettevi le tende nel ventre materno e da lì saresti diventato un bambino. I
più attenti avevano ben capito che serviva anche un maschio e che dal loro
contatto ti saresti piantato nella pancia. Erano anche i più ansiosi,
soprattutto le bimbe, che cercavano di evitare ogni contatto, per non parlare
del bacio sulle labbra…ohhhh si sarebbe diventate bimbe-madri di sicuro. Mentre
i più evoluti e cinici, (e c’ero anch’io), abbandonando suggestive leggende,
avevano capito che serviva una donna e un uomo (bene), che dovevano trovarsi
a letto (si pensava già alla versione più comoda) essere sposati o comunque
volersi molto bene (certo, come no) e che in un dato momento, preferibilmente
durante la notte, sarebbero apparsi, non si sa come, ‘sti immancabili
girini/semini, e se fosse stato il momento giusto, in una sorta di girotondo
si sarebbero uniti e piantati nel ventre materno entrando dalla bocca materna
(sì, come no). Qualche anno dopo io e il mio staff comprendemmo… ecco cosa
mancava!!
Ma vediamo meglio cos'è l' impollinazione in
botanica. Consiste nel trasporto del polline (garantito da acqua, vento, insetti, ecc..) dalle antere (parti
terminali degli stami: organi maschili), che una volta giunte a maturazione
rilasciano i granuli di polline, allo stimma (la parte terminale del
pistillo). Da qui il viaggio verso l’ovario in cui le due parti, femminili e
maschili, si fonderanno dando vita ai frutti. Inoltre a seconda della pianta
vi possono essere delle differenze nell’impollinazione. Infatti quella del
pancrazio è entomogama ed eterogama, ossia avviene tramite insetti, in
special modo per mezzo delle farfalle notturne, le falene e avviene su fiori
di diverse piante. Ciò è reso possibile
dalle peculiarità del fiore che si schiude nel tardo pomeriggio, chiudendosi
solo il pomeriggio seguente. Così da
rimaner aperto e disponibile per tutta la notte, a ciò, si aggiunga il color
bianco candido e il profumo dolce e intenso... tanto da risplendere come
cielo in terra nelle serene notti blu e tracciare sentieri sensoriali sull’ estiva
sabbia… insomma, veri e propri punti di ritrovo e ristoro, facilmente
rintracciabili, per le belle falene. Ho scritto serene notti perché degli
studi han mostrato che la fecondazione avverrebbe in mancanza o parziale presenza
di vento, in caso di forte vento la fecondazione non avrebbe luogo. Per
quanto attiene la seconda caratteristica, il pistillo è fecondato soltanto da
granuli di polline di fiori provenienti da un’altra pianta, per intenderci,
può essere il polline del fiore di una piantina di pancrazio sita a pochi cm.
di distanza o a un km., non importa, ma mai vi sarà un’impollinazione tra
fiori della stessa pianta.
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Semi |
Curiosità: Pancrazio, il fiore che nuota! Il vero e
proprio seme della pianta è situato all’interno di una massa spugnosa e
leggerissima che, come un salvagente, permette al seme di galleggiare
sull’acqua. Quindi prima il vento disperde qua e là i semi caduti, poi le
onde delle mareggiate li raccolgono e li disseminano, grazie alle correnti,
in altri punti della costa, anche molto lontani. Pensate che ci sono
pancratium maritimum anche sulle coste atlantiche, altro che nuotatine… son
semi da triatlon!! E’ per questo che tale disseminazione, curiosa e
originale, è chiamata idrocora. Strategia usata da altre pochissime piante,
tra cui, la più conosciuta, la noce di cocco.
Le vincenti astuzie con cui gli avventurosi semi di
pancrazio amano diffondersi e le caratteristiche delle foglie e del bulbo
(veri e propri serbatoi di sostanze nutritive), purtroppo, oggi non sono
sufficienti a garantirne la sopravvivenza. Infatti in luoghi in cui un tempo
prosperava, ora è addirittura ritenuta una pianta rara e sottoposta a tutela
ambientale. L’habitat dunale è già di per sé un luogo instabile, rimodellato
di continuo dalle correnti e dai venti. Proprio per questo le piante psammofile (che come il nostro
pancrazio vivono sui terreni sabbiosi: dalla battigia alle dune più interne)
trattengono e favoriscono gli accumuli di sabbia, diventando una presenza
indispensabile per la salute delle coste. Se a ciò aggiungiamo anche i
nefasti effetti dei colonizzatori bipedi… beh… dune, spiagge, flora e il mare
stesso sono, sul serio, in pericolo. Chi sono ’sti bipedi… beh, naturalmente,
noi. Il sovraffollamento delle spiagge, il continuo calpestio, lo
stazionamento sulle dune, solchi e spianamenti lasciati da veicoli e persone
cambiano irrimediabilmente i già tanto precari equilibri dell’ambiente. Per
non parlare poi di quei piccoli singoli gesti che sommati divengono enormi violenze
di massa come la raccolta di sabbia, conchiglie, ciottoli, fiori e piante. E
quando si fa notare che tale comportamento non è consono e, per giunta,
sanzionabile con multe salatissime… i bipedi replicano, riesumando vetuste
espressioni di stupore e innocenza risalenti al loro terzo anno di vita, che
non credevano… che in fondo si tratta solo di un pugnetto di una sabbia rosa
mai vista, di una manciata di sassolini, due piantine e un fiore.
Rispettivamente da ammirare e far ammirare in una bottiglia di plastica sulla
mensola di cucina con su scritto ‘ricordo estate 2015 loove :-), da porre nella
ciotolina sul tavolino del salottino che fa molto… esotico, e poi che fai non
arredi il balcone con un po’ di verde e il giglio di mare, che fai, non te lo
metti tra i capelli per un selfie!!!
Se il pancrazio marittimo e i suoi fiori vi hanno
stregato al punto di non volerne più fare a meno, senza sradicare alcuna
pianta, potete comprare i bulbi o i semi in commercio, seguire le istruzioni
e voilà! Qualche piccolo consiglio. Innanzitutto meglio comprare i bulbi, con
i semi l’attesa si prolunga notevolmente, piantarli in autunno (prima delle
gelate) o in primavera (dopo le gelate). Il terreno deve essere ben drenato,
e se posti in vasi ricordate di prenderli profondi perché hanno lunghe
radici, devon esser piantati in profondità e ricoperti da circa 6/9 cm di
terra. Non hanno particolari esigenze idriche, anzi è bene controllare che la
terra sia ben asciutta e che le temperature non vadano al di sotto dello 0
(in tal caso copriteli). Da buona pianta di mare ama l’esposizione al sole,
giusto quando fiorisce mettetela un poco all’ombra per far durare un po’ di
più i brillanti fiori. Se i cespi dovessero farsi troppo fitti procedete alla
divisione ma, c’è tempo, va fatta ogni 5/6 anni.
La coltivazione può essere un bel modo per averne un
po’ nel proprio giardino o a casa e magari chissà, i semi viaggiatori
potrebbero arrivare in qualche spiaggia ormai quasi spoglia e ripopolarla. Ci
sono molte regioni in cui trovare una pianta di pancratium maritimum è una
vera e propria impresa, in altre coste invece rappresenta un appuntamento
fisso, una presenza costante e rassicurante che accompagna l’ennesima nuova
estate. Come nella meravigliosa Sardegna. Ho trovato spiagge in cui c’erano veri
e propri tappeti di pancrazi, che spettacolo e… anche di notte, tutto quel
bianco assoluto quasi abbaglia!!! Ma la Sardegna ama stupire e tadà… ecco
un’altra specie: il Pancratium Illyricum. Nonostante il nome specifico
illyricum = dell’Illiria, si riferisca a un’antica regione dell’Adriatico orientale
(ci fu una svista) è endemico della Sardegna ed è conosciuto col nome di Giglio Stella. A differenza del Maritimum trova il suo habitat tra rocce silicee e prati freschi e umidi, il suo
periodo di antesi (ossia fioritura) è tra Aprile e Maggio. Varia un po’ anche
nell’aspetto. Le sue foglie, sono più lunghe e larghe con l’apice
arrotondato. Il perigonio è corto, i tepali sono più larghi, la corolla è
decisamente corta e affatto ampia e infine gli stami sono molto più lunghi.
In giro per il mondo ci sono anche altre specie, almeno altre 13/18, su cui
glisserò.
E dulcis in fundo la simbologia del candido fiore a
cosa è legata? Forse proprio dulcis non è visto che il pancrazio, come molti
altri fiori, non è annoverato tra i tanti che compongono il linguaggio dei
fiori. Eppure molti di questi, a cui non vien data parola, sono splendidi e
sorprendenti (come il fiore corallo di cui scrissi in qualche post precedente).
Di certo non vengono snobbati perché non ritenuti belli o importanti ma
semplicemente perché poco conosciuti. In effetti se ci fate caso, si conosce
il significato dei fiori più comuni, quelli che, nella stragrande
maggioranza, possiamo trovare in qualsiasi negozio o nella memoria storica di
anziane nonnine o in quadri di un tempo. Questo perché la florigrafia,
sviluppatasi nell’800, ha elaborato un significato per ogni fiore e colore e si
serviva, nella maggior parte dei casi, di fiori e piante facilmente
reperibili. In tal modo, attraverso fiori e composizioni, si potevano
comunicare emozioni e sensazioni in modo indiretto, per far intendere quel
che proprio non si poteva dire. Ma si sa, tutto è in continua evoluzione,
quindi perché non aggiungere fiori e creare la nostra lista, lo possiamo dare
noi un significato, qui ed ora. Di che lo facciamo parlare? E ‘sta volta non
esitate ad esser partecipativi e propositivi!! Dunque… per le sue
caratteristiche, potrebbe rappresentare la tenacia, la forza, e come i semi
che navigano alla ricerca di nuove terre… l’audacia nella vita, per spingersi
oltre, cercare il meglio e non arrendersi mai. Condividete? Se il Pancrazio
non compare nella lista ufficiale del linguaggio dei fiori è, però,
protagonista di una leggenda che narra proprio della sua origine. In un tempo
remoto, ai piani alti… lassù nell’Olimpo, il fedigrafo e arzillo Zeus ne
combinò una delle sue. Si invaghì di Alcmena, bella e devotissima al marito, e
per poterla fare sua, approfittando dell’assenza del coniuge Anfitrione, si
presentò al suo cospetto assumendo le sembianze dell’uomo. Da quella
lunghissima notte furono concepiti due gemelli, uno del marito e l’altro del
re degli dei (vai a capire… ma son miti, tutto è possibile). Il pasticciaccio
giunse alle orecchie di Era, la moglie di Zeus, e non la prese proprio bene. La
dea dapprima provò a impedire la nascita del bimbo annodando le gambe della
puerpera Alcmena e poi provò con due serpenti direttamente nella culla del
piccolo ma, non si trattava di un bimbo come gli altri, no, lui era Eracle
(Ercole nella versione romana). Un giorno mentre Era faceva un riposino le
accostarono il piccolo al seno, a che potesse essere allattato col prezioso
latte, ma una volta svegliatasi e aver compreso di chi si trattasse, la dea,
repentinamente, lo strappò dal suo petto e così parte di quel latte divino
schizzò nel cielo e formò la bianca Via Lattea e le sue luminose stelle ma, dal cielo alcune gocce ricaddero sulla terra, dando vita ai bianchissimi
fiori.
Stelle tra la sabbia… che, come le sorelle, tracciano
cammini tra sentieri della solida terra… e noi seduti lì al limitare del
mare in queste ultime notti estive. Attenderemo una nuova estate che
troveremo, raggiungeremo su altri lidi… dai curiosi accenti… colori accesi e
ancora lì, noi, nel ritrovato abbraccio tra cielo e terra, in questa luce di
stelle, per un’altra nuova estate.
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