31 agosto 2015


  
Giglio di Mare



Sento il mare dentro una conchiglia, è estate, l’eternità è un battito di ciglia… è fine agosto e ci godiamo questi ultimi momenti di estate… che cucita addosso, sembra non dover finire mai e… sempre come canta Lorenzo… mi butto, mi getto tra le braccia del vento con le mani mi faccio una vela e tutti i sensi li sento più accesi, più vivi… Scrivendo di estate come non pensare alle vacanze, a quelle lunghissime, e rigorosamente al mare, di quando eravamo piccoli. Gelati, nuotate, ginocchia sbucciate, quel salato perenne tra le labbra… proprio un’eternità in un battito di ciglia e vi ricordate le partenze, epiche!! Non mi riferisco tanto a quelle di oggi, forse più organizzate o comunque da un trolley e via, no, vi parlo di quelle di qualche anno fa, veri e propri traslochi di intere famiglie migranti in località balneari. E come non ricordare lui, l’immancabile portapacchi su cui, a dire delle mamme, ci doveva stare giusto un doppio cambio e due giochini dei bimbi per il mare… Ma che a vedere le dimensioni di quella paffuta e informe massa di valigie e valigette (qualche volta ci ho visto pure sedioline), che perennemente cercava di schiacciare il povero portabagagli, sembrava più un’intera collezione 4 stagioni per ogni componente della famiglia e i giochini, una moltitudine di pale, palettine e secchielli con cui erigere veri e propri quartieri abusivi sull’arenile. E tra castelli di sabbia, o meglio, villaggi e borghi, racchette e creme solari lui, il fiore del giorno: il giglio di mare.


Inizio col fare una piccola precisazione. Il giglio di mare in realtà non è un giglio. Probabilmente questo nome gli è stato dato per la somiglianza che ha con quest’ultimo per via dello stesso perigonio imbutiforme a sei tepali (ossia la parte esterna del fiore costituita dai tepali) e le antere vistose. Ma… guardandolo attentamente si scorge una considerevole similitudine con un altro fiore, il narciso. Ormai ben noto a tutti noi (a chi ancora ignoto, corra a vedere il post precedente). Entrambi i fiori appartengono alla famiglia delle Amaryllidaceae e condividono alcune similitudini morfologiche tra cui, la più spettacolare ed evidente: la paracorolla.  Opinione piuttosto condivisa tanto che in inglese il nome comune più usato, nonostante compaia anche come Mediterrean lily e Lily of S.Nicolas (Lily = Giglio), è proprio Sea Daffodil. Qualche volta appare anche come sand daffodil… ma che sia di mare o di sabbia sempre di daffodil si tratta. E infatti si sa, gli inglesi in quanto a precisione proprio non sgarrano. Anche il francese lo conosce come Narcisse de mer e Pancrace tyrrhénien (anch’esso un nome piuttosto preciso, di cui capirete a breve) ma, allontanandosi dalla proverbiale meticolosità anglosassone, preferisce chiamarlo Lis de mer (giglio di mare). Tendenza condivisa dall’italiano (lingua da voli pindarici di poesia) nel quale pur comparendo come Narciso di mare preferisce il nome di Giglio di mare o, per gli anglofili, i più precisini, Giglio pancrazio.
Ma c’è un nome che mette d’accordo tutti, quello botanico, ossia Pancratium Maritimum. Il nome del genere deriva dal greco pan = tutto e kratos = potenza, mentre quello specifico deriva dal latino maritimum = marittimo. Probabilmente con questo nome si alludeva alla capacità della pianta di resistere alle difficili condizioni del suo habitat o alle presunte virtù medicinali, infatti sarebbero edibili le radici e i semi. Tuttavia è ritenuta una pianta tossica per via di alcuni alcaloidi che darebbero degli effetti allucinogeni, quindi, come sempre, meglio chiedere un parere a un professionista prima di assumere qualsivoglia parte della pianta.

Il pancratium maritimum è una bulbosa perenne originaria del bacino mediterraneo
europeo. E’ provvisto di foglie basali e nastriformi di color verde glauco e dotate di una lieve scanalatura centrale, spesso marcescenti durante la fioritura. Sono  larghe 1 - 2 cm e lunghe fino a 50 - 60 cm, succulente, ritorte a spirale e particolarmente flessibili e resistenti. Forma e consistenza che garantiscono un ostacolo naturale contro i detriti, quale sabbia e quant’altro, depositati dal vento. Dalle foglie si erige lo scapo afillo (ossia privo di foglie), alto dai 20 a 50 cm, al cui apice si trova un’infiorescenza a ombrella provvista di 3 - 10 fiori grandi e di color bianco.

E infine l’incantevole fiore, provvisto di corolla e paracorolla. La prima ha sei tepali lanceolati (a forma di punta di lancia, quindi sottili e appuntiti) che sul lato esterno presentano una striatura verde nel mezzo. La corona invece è ampia, largamente campanulata ed è composta da 6 lobi biforcati che formano 12 denti triangolari tra cui sono inseriti i sei stami sormontati dalle rispettive antere gialle a forma di arco, mentre dal suo centro si innalza il pistillo sporgente, l’organo femminile del fiore (fondamentale per l’impollinazione). Pistillo che, una volta scomparso il fiore, darà vita ai frutti, capsule ovali e coriacee di 2 – 3 cm, che a maturità, verso Ottobre, si apriranno per far fuoriuscire i semi, di color nero lucente e di forma irregolare.

Frutti

A proposito… pistilli, semi, polline ecc… vi ricordan qualcosa, e se dico api, apine, apucce? Ho usato la parola chiave, lo sapevo, iniziano a riaffiorare ricordi nelle vostre menti. Lontane lontane lezioni trascorse su piccoli banchi… i quadernoni rigorosamente a quadretti (perché, si sa, per le materie scientifiche il quadretto era d’obbligo, raramente e in via del tutto eccezionale, e soprattutto con maestre appagate e felici, veniva consentita la scelta tra il quadretto piccolo e grande) e noi a disegnare api piccine, paffute, tanto obese da sembrare libellule, e pure appesantite, aliene e poi quelle da selfie, con tanto di ciglia e sorriso contornato da procaci labbra rosse. Già, chi non ricorda le api e i loro svolazzamenti tra un fiore e l’altro: metafore, spesso poco comprese, di ben altre impollinazioni. E già, quanto caos han generato!! Caos e traumi… scoprire che la cicogna non ha alcuna predilezione per i neonati e tutt’al più ti ottura la canna fumaria. Per non parlare dei cavoli che, a parte che non ci saresti mai stato (eri piccolo ma non uno gnomo, le prove? I filmati di 35 ore e un quarto girati da tuo padre mentre… dormivi, immobile) non avrebbero potuto sostenere il ritmo dei nuovi arrivi (si sarebbe cercata vita su Marte, sì, ma per piantarci cavoli) e poi tutta quell’umidità. Come se non bastasse arrivan ‘ste api a complicare il tutto, il polline assume l’aspetto di una ciurma di girini nevrotici e proprio non riesci ad associare tutto l’ambaradam al pancione di mamma. Qualcosa sfugge, manca, vuoi capire! Indici summit al parco coi tuoi compagni e, dopo lo scivolo e la merenda provi a venirne a capo ma vengon prodotte astruse teorie. I più romantici e tradizionalisti optano per una mamma che ha fatto incetta di cavoli portati da una cicogna (perché a una relazione con la cicogna proprio non potevano rinunciare) e oplà, in uno, a modi spora, c’eri tu con le sembianze da girino che, come un semino mettevi le tende nel ventre materno e da lì saresti diventato un bambino. I più attenti avevano ben capito che serviva anche un maschio e che dal loro contatto ti saresti piantato nella pancia. Erano anche i più ansiosi, soprattutto le bimbe, che cercavano di evitare ogni contatto, per non parlare del bacio sulle labbra…ohhhh si sarebbe diventate bimbe-madri di sicuro. Mentre i più evoluti e cinici, (e c’ero anch’io), abbandonando suggestive leggende, avevano capito che serviva una donna e un uomo (bene), che dovevano trovarsi a letto (si pensava già alla versione più comoda) essere sposati o comunque volersi molto bene (certo, come no) e che in un dato momento, preferibilmente durante la notte, sarebbero apparsi, non si sa come, ‘sti immancabili girini/semini, e se fosse stato il momento giusto, in una sorta di girotondo si sarebbero uniti e piantati nel ventre materno entrando dalla bocca materna (sì, come no). Qualche anno dopo io e il mio staff comprendemmo… ecco cosa mancava!!

Ma vediamo meglio cos'è l' impollinazione in botanica. Consiste nel trasporto del polline (garantito da acqua,  vento, insetti, ecc..) dalle antere (parti terminali degli stami: organi maschili), che una volta giunte a maturazione rilasciano i granuli di polline, allo stimma (la parte terminale del pistillo). Da qui il viaggio verso l’ovario in cui le due parti, femminili e maschili, si fonderanno dando vita ai frutti. Inoltre a seconda della pianta vi possono essere delle differenze nell’impollinazione. Infatti quella del pancrazio è entomogama ed eterogama, ossia avviene tramite insetti, in special modo per mezzo delle farfalle notturne, le falene e avviene su fiori di diverse piante. Ciò è reso possibile dalle peculiarità del fiore che si schiude nel tardo pomeriggio, chiudendosi solo il pomeriggio seguente.  Così da rimaner aperto e disponibile per tutta la notte, a ciò, si aggiunga il color bianco candido e il profumo dolce e intenso... tanto da risplendere come cielo in terra nelle serene notti blu e tracciare sentieri sensoriali sull’ estiva sabbia… insomma, veri e propri punti di ritrovo e ristoro, facilmente rintracciabili, per le belle falene. Ho scritto serene notti perché degli studi han mostrato che la fecondazione avverrebbe in mancanza o parziale presenza di vento, in caso di forte vento la fecondazione non avrebbe luogo. Per quanto attiene la seconda caratteristica, il pistillo è fecondato soltanto da granuli di polline di fiori provenienti da un’altra pianta, per intenderci, può essere il polline del fiore di una piantina di pancrazio sita a pochi cm. di distanza o a un km., non importa, ma mai vi sarà un’impollinazione tra fiori della stessa pianta.
 
Semi
Curiosità: Pancrazio, il fiore che nuota! Il vero e proprio seme della pianta è situato all’interno di una massa spugnosa e leggerissima che, come un salvagente, permette al seme di galleggiare sull’acqua. Quindi prima il vento disperde qua e là i semi caduti, poi le onde delle mareggiate li raccolgono e li disseminano, grazie alle correnti, in altri punti della costa, anche molto lontani. Pensate che ci sono pancratium maritimum anche sulle coste atlantiche, altro che nuotatine… son semi da triatlon!! E’ per questo che tale disseminazione, curiosa e originale, è chiamata idrocora. Strategia usata da altre pochissime piante, tra cui, la più conosciuta, la noce di cocco.


Le vincenti astuzie con cui gli avventurosi semi di pancrazio amano diffondersi e le caratteristiche delle foglie e del bulbo (veri e propri serbatoi di sostanze nutritive), purtroppo, oggi non sono sufficienti a garantirne la sopravvivenza. Infatti in luoghi in cui un tempo prosperava, ora è addirittura ritenuta una pianta rara e sottoposta a tutela ambientale. L’habitat dunale è già di per sé un luogo instabile, rimodellato di continuo dalle correnti e dai venti. Proprio per questo le  piante psammofile (che come il nostro pancrazio vivono sui terreni sabbiosi: dalla battigia alle dune più interne) trattengono e favoriscono gli accumuli di sabbia, diventando una presenza indispensabile per la salute delle coste. Se a ciò aggiungiamo anche i nefasti effetti dei colonizzatori bipedi… beh… dune, spiagge, flora e il mare stesso sono, sul serio, in pericolo. Chi sono ’sti bipedi… beh, naturalmente, noi. Il sovraffollamento delle spiagge, il continuo calpestio, lo stazionamento sulle dune, solchi e spianamenti lasciati da veicoli e persone cambiano irrimediabilmente i già tanto precari equilibri dell’ambiente. Per non parlare poi di quei piccoli singoli gesti che sommati divengono enormi violenze di massa come la raccolta di sabbia, conchiglie, ciottoli, fiori e piante. E quando si fa notare che tale comportamento non è consono e, per giunta, sanzionabile con multe salatissime… i bipedi replicano, riesumando vetuste espressioni di stupore e innocenza risalenti al loro terzo anno di vita, che non credevano… che in fondo si tratta solo di un pugnetto di una sabbia rosa mai vista, di una manciata di sassolini, due piantine e un fiore. Rispettivamente da ammirare e far ammirare in una bottiglia di plastica sulla mensola di cucina con su scritto ‘ricordo estate 2015 loove :-), da porre nella ciotolina sul tavolino del salottino che fa molto… esotico, e poi che fai non arredi il balcone con un po’ di verde e il giglio di mare, che fai, non te lo metti tra i capelli per un selfie!!!

Se il pancrazio marittimo e i suoi fiori vi hanno stregato al punto di non volerne più fare a meno, senza sradicare alcuna pianta, potete comprare i bulbi o i semi in commercio, seguire le istruzioni e voilà! Qualche piccolo consiglio. Innanzitutto meglio comprare i bulbi, con i semi l’attesa si prolunga notevolmente, piantarli in autunno (prima delle gelate) o in primavera (dopo le gelate). Il terreno deve essere ben drenato, e se posti in vasi ricordate di prenderli profondi perché hanno lunghe radici, devon esser piantati in profondità e ricoperti da circa 6/9 cm di terra. Non hanno particolari esigenze idriche, anzi è bene controllare che la terra sia ben asciutta e che le temperature non vadano al di sotto dello 0 (in tal caso copriteli). Da buona pianta di mare ama l’esposizione al sole, giusto quando fiorisce mettetela un poco all’ombra per far durare un po’ di più i brillanti fiori. Se i cespi dovessero farsi troppo fitti procedete alla divisione ma, c’è tempo, va fatta ogni 5/6 anni.

La coltivazione può essere un bel modo per averne un po’ nel proprio giardino o a casa e magari chissà, i semi viaggiatori potrebbero arrivare in qualche spiaggia ormai quasi spoglia e ripopolarla. Ci sono molte regioni in cui trovare una pianta di pancratium maritimum è una vera e propria impresa, in altre coste invece rappresenta un appuntamento fisso, una presenza costante e rassicurante che accompagna l’ennesima nuova estate. Come nella meravigliosa Sardegna. Ho trovato spiagge in cui c’erano veri e propri tappeti di pancrazi, che spettacolo e… anche di notte, tutto quel bianco assoluto quasi abbaglia!!! Ma la Sardegna ama stupire e tadà… ecco un’altra specie: il Pancratium Illyricum. Nonostante il nome specifico illyricum = dell’Illiria, si riferisca a un’antica regione dell’Adriatico orientale (ci fu una svista) è endemico della Sardegna ed è conosciuto col nome di Giglio Stella. A differenza del Maritimum trova il suo habitat tra rocce silicee e prati freschi e umidi, il suo periodo di antesi (ossia fioritura) è tra Aprile e Maggio. Varia un po’ anche nell’aspetto. Le sue foglie, sono più lunghe e larghe con l’apice arrotondato. Il perigonio è corto, i tepali sono più larghi, la corolla è decisamente corta e affatto ampia e infine gli stami sono molto più lunghi. In giro per il mondo ci sono anche altre specie, almeno altre 13/18, su cui glisserò.

E dulcis in fundo la simbologia del candido fiore a cosa è legata? Forse proprio dulcis non è visto che il pancrazio, come molti altri fiori, non è annoverato tra i tanti che compongono il linguaggio dei fiori. Eppure molti di questi, a cui non vien data parola, sono splendidi e sorprendenti (come il fiore corallo di cui scrissi in qualche post precedente). Di certo non vengono snobbati perché non ritenuti belli o importanti ma semplicemente perché poco conosciuti. In effetti se ci fate caso, si conosce il significato dei fiori più comuni, quelli che, nella stragrande maggioranza, possiamo trovare in qualsiasi negozio o nella memoria storica di anziane nonnine o in quadri di un tempo. Questo perché la florigrafia, sviluppatasi nell’800, ha elaborato un significato per ogni fiore e colore e si serviva, nella maggior parte dei casi, di fiori e piante facilmente reperibili. In tal modo, attraverso fiori e composizioni, si potevano comunicare emozioni e sensazioni in modo indiretto, per far intendere quel che proprio non si poteva dire. Ma si sa, tutto è in continua evoluzione, quindi perché non aggiungere fiori e creare la nostra lista, lo possiamo dare noi un significato, qui ed ora. Di che lo facciamo parlare? E ‘sta volta non esitate ad esser partecipativi e propositivi!! Dunque… per le sue caratteristiche, potrebbe rappresentare la tenacia, la forza, e come i semi che navigano alla ricerca di nuove terre… l’audacia nella vita, per spingersi oltre, cercare il meglio e non arrendersi mai. Condividete? Se il Pancrazio non compare nella lista ufficiale del linguaggio dei fiori è, però, protagonista di una leggenda che narra proprio della sua origine. In un tempo remoto, ai piani alti… lassù nell’Olimpo, il fedigrafo e arzillo Zeus ne combinò una delle sue. Si invaghì di Alcmena, bella e devotissima al marito, e per poterla fare sua, approfittando dell’assenza del coniuge Anfitrione, si presentò al suo cospetto assumendo le sembianze dell’uomo. Da quella lunghissima notte furono concepiti due gemelli, uno del marito e l’altro del re degli dei (vai a capire… ma son miti, tutto è possibile). Il pasticciaccio giunse alle orecchie di Era, la moglie di Zeus, e non la prese proprio bene. La dea dapprima provò a impedire la nascita del bimbo annodando le gambe della puerpera Alcmena e poi provò con due serpenti direttamente nella culla del piccolo ma, non si trattava di un bimbo come gli altri, no, lui era Eracle (Ercole nella versione romana). Un giorno mentre Era faceva un riposino le accostarono il piccolo al seno, a che potesse essere allattato col prezioso latte, ma una volta svegliatasi e aver compreso di chi si trattasse, la dea, repentinamente, lo strappò dal suo petto e così parte di quel latte divino schizzò nel cielo e formò la bianca Via Lattea e le sue luminose stelle ma, dal cielo alcune gocce ricaddero sulla terra, dando vita ai bianchissimi fiori.

Stelle tra la sabbia… che, come le sorelle, tracciano cammini tra  sentieri della solida terra… e noi seduti lì al limitare del mare in queste ultime notti estive. Attenderemo una nuova estate che troveremo, raggiungeremo su altri lidi… dai curiosi accenti… colori accesi e ancora lì, noi, nel ritrovato abbraccio tra cielo e terra, in questa luce di stelle, per un’altra nuova estate.





Nessun commento:

Posta un commento