Plumbago
Il sole caldo e le nuotate son ben
lontane. Lungi dal lamentarmi perché fin’ora il tempo è stato piuttosto
generoso, ha regalato giornate più da primavera che d’autunno inoltrato. Quindi
niente facce stupite e scontente di chi si domanda, e qui rubo l’esilarante
battuta di un amico “ma veramente arriva l’inverno e finisce il caldo? Peccato,
siamo solo all’ 81 di Settembre!”. Rassegnatevi, è ormai tempo
di cappotti, stivali, sciarpette, te caldi delle cinque e puntuali e
inopportuni raffreddori da fine settimana. E i parchi e i giardini
si colorano di solo verde, quà e là le ultime foglie rosse e gialle ballano su
spogli rami e poi, con qualche pirouettes, si tuffan giù a comporre strade
pronte a danzare, a volteggiare ancora, col primo soffio di vento. Bimbi che
con i loro stivaletti rossi sembrano dover fare il censimento delle pozzanghere
del parco, il tepore sotto le cuffiette e i guanti di lana bianca, lo
scrocchiare delle foglie secche sotto gli stivaletti rossi e poi il ricordo di
una vecchia filastrocca… à la claire fontaine je m’en allant promener, j’ai
trouvé l’eau si belle que je m’y suis baignée, il y a longtemps que… Viali spogli, tanto verde e di colori non c’è che
il rosso un po’ sbiadito di quegli stivaletti ma, guardando meglio, in un
angolo ecco ancora un po’di colore, per niente sbiadito, è l’azzurro del fiore
del giorno, il Plumbago.
Il Plumbago è un arbusto sempreverde
a portamento sarmentoso, appartenente alla famiglia delle Plumbaginaceae, è originario dell’Africa del Sud ed è stato
introdotto come pianta ornamentale, dapprima, nelle indie orientali dagli
Olandesi della Compagnia delle Indie e successivamente si è espanso
praticamente ovunque divenendo un’immancabile presenza nei giardini e nelle
case di un po’ tutto il mondo. Irrinunciabile quanto i nani da giardino negli
anni 80 soprattutto in quella parte di mondo che beneficia di un clima mite e
temperato (non per i nani che sanno il fatto loro pure sotto la neve). Condizioni
in cui la pianta da il meglio di sé garantendo una fioritura continua.
Plumbago, che nome particolare! Non
so voi, ma io non lo trovo provvisto di quella grazia rappresentativa di un
fiore tanto delicato. Il suo nome deriva da una leggenda che attribuiva alla
pianta poteri portentosi nella cura contro l’avvelenamento da piombo = plumbum
(in latino). Del genere plumbago fanno parte almeno 15/20 specie tutte di
origine africana e asiatica (fuorché una: il plumbago europeo). Il Plumbago del
giorno è della specie Auriculata o Capensis, come già detto di origine
africana, sono in molti a pensare che i due termini designino piante diverse ma
non è così, diciamo che l’è stato dato il doppio nome. Infatti Auriculata deriva
dal latino auricula = orecchio, nome dato dal botanico Lamark nel 1784 che,
nelle due foglioline che compongono il picciolo, vide
inequivocabilmente la forma di due grandi orecchie. In seguito è stata
ribattezzata Capensis dal botanico Thunberg, ispiratosi invece al Capo, il
luogo d’origine della pianta.
Benché sia ampiamente usato il termine di derivazione
latina in ogni parte del globo, non possono mancare di certo i nomi
vernacolari. Così in Italia il fiore è anche noto come gelsomino azzurro per
via dell’abbondante e voluminosa fioritura (perché col gelsomino non ha proprio
nulla a che spartire) o Caprinella del Capo, nome collegato alla Caprinella,
ossia l’unico Plumbago europeo. Scelte condivise dall’inglese, in cui prevale
sempre il nome tecnico ma, che ogni tanto si ispira a lontane leggende o a
cieli plumbei chiamandolo Cape Laedwort (lead = piombo) per poi scivolare, di
tanto in tanto, nell’impreciso Blue-Jasmine. Di tutt’altro avviso il francese,
in cui è noto come Dentellaine du Cap. In questo caso non c’entra nulla né il
cielo né il piombo ma i denti, già, perché si raccontava che la pianta si
usasse per alleviarne il fastidioso dolore. E ancora, sull’isola La Réunion lo
chiamano Pervenche à fleurs bleues (Pervinca azzurra) perché proprio come la
Pervinca è diventata una pianta invasiva.
Curiosità: Plumbago, il parafulmini a impatto zero.
Una lontana leggenda, di cui, non si conosce l’origine, dice che un bastoncino
di questa pianta, se posto sul tetto di paglia della capanne, tenga lontani i
fulmini. Certo, chi non ha una capanna da proteggere, funzionerà anche con le
casette di legno? Chissà, forse questo mito arriva da un periodo remoto… fatto di capanne, villaggi da rifare e gente che non sapeva più a
che santo votarsi.
La bella Caprinella sudafricana presenta fusti sottili
e legnosi (teneri quando giovani) che possono arrivare fino ai 2-3 metri di
lunghezza in una sola stagione vegetativa. Grazie al portamento sarmentoso si
possono creare diversi scenari anche in uno stesso giardino. Ad esempio si può
lasciare la pianta a briglie sciolte tanto da avere un bel cespuglio rigoglioso
e un po’ disordinato col classico portamento a fontana oppure, si possono
creare delle bordure mantenendo a bada gli scalmanati steli con vigorose
potature (che tra l’altro ne favoriranno le fioriture) o semplicemente, si
possono, direzionare su tralicci e strutture a rivestire muri o verande.
Ma vediamo la pianta nel dettaglio. Le foglie site sugli steli
ramificati sono di forma ovata, alterne, piccole (di 4-6cm), di colore verde
chiaro, sottili e precedute dal particolare picciolo alato (alla cui base ci
sono due piccole foglie, che piacquero tanto a Lamark!). E all’estremità degli
steli ecco delle spighe su cui trovano dimora numerosissime infiorescenze a
ombrella costituite da una moltitudine (ben più di 20) di piccoli fiori azzurri.
Ed ora, il fiore nel dettaglio. Inizio con lo strano sepalo che, tubolare e di 1-1,5 cm, sulla parte terminale presenta dei particolarissimi peli ghiandolari appiccicosi. Tanto collosi che se cogliete un fiore vi rimarrà attaccato al dito e se il vostro cane dovesse passare nei paraggi della pianta… state pur certi che ve ne accorgerete, già, perché il suo manto sarà punteggiato di questi fiori, o meglio, dei suoi sepali (infatti accade quando i fiori sono già appassiti) diventando, così, un portatore sano di Plumbago. Si pensa infatti che la particolare struttura tentacolata, aderendo al manto degli animali, ne agevoli la dispersione dei semi (la cosiddetta dispersione epizooria). Proseguiamo con il lungo tubo corillico, di ben 2,5 cm, e infine la corolla piatta e rosacea (ossia con petali uguali e disposti circolarmente) a 5 petali (di solo circa 1,5 cm di lunghezza e 1 di diametro) dal cui centro è visibile il sottile pistillo bianco e i filamenti. I petali sono sottilissimi e delicatissimi tant’è che dopo un acquazzone saranno stropicciati e appallottolati come carta velina, ma poco male perché il giorno seguente ce ne saranno degli altri nuovi di zecca.
Ed ora, il fiore nel dettaglio. Inizio con lo strano sepalo che, tubolare e di 1-1,5 cm, sulla parte terminale presenta dei particolarissimi peli ghiandolari appiccicosi. Tanto collosi che se cogliete un fiore vi rimarrà attaccato al dito e se il vostro cane dovesse passare nei paraggi della pianta… state pur certi che ve ne accorgerete, già, perché il suo manto sarà punteggiato di questi fiori, o meglio, dei suoi sepali (infatti accade quando i fiori sono già appassiti) diventando, così, un portatore sano di Plumbago. Si pensa infatti che la particolare struttura tentacolata, aderendo al manto degli animali, ne agevoli la dispersione dei semi (la cosiddetta dispersione epizooria). Proseguiamo con il lungo tubo corillico, di ben 2,5 cm, e infine la corolla piatta e rosacea (ossia con petali uguali e disposti circolarmente) a 5 petali (di solo circa 1,5 cm di lunghezza e 1 di diametro) dal cui centro è visibile il sottile pistillo bianco e i filamenti. I petali sono sottilissimi e delicatissimi tant’è che dopo un acquazzone saranno stropicciati e appallottolati come carta velina, ma poco male perché il giorno seguente ce ne saranno degli altri nuovi di zecca.
Se leggendo questo articolo e vedendo le foto pensate
che la pianta tentacolata faccia per voi ecco, come sempre, qualche consiglio.
E’ una pianta semirustica e come tale non ha particolari esigenze. Sicuramente
è meglio piantarla in piena terra in un terreno drenato, sabbioso e leggermente
acido e in una zona con clima temperato. E se al contrario vivete in freddini
luoghi del nord (dipende quanto a nord… se tanto nord… mmm… mi spiace, non fa
per voi). Tenete presente che la pianta muore al di sotto degli 8 gradi, quindi
nei mesi più freddi, sarà meglio ricoverarla all’interno delle vostre case
oppure, tagliando tutti i rami e coprendone la base attendere speranzosi la
successiva primavera (generalmente si riprende e cresce vigorosamente). La sua
fioritura è abbondante e prolungata. Inizia nei mesi di maggio e giugno per
terminare ai primi freddi ma, se in un clima a lei confacente, non
necessariamente pantropicale (ormai si è ben acclimatata anche al nostro clima mediterraneo),
può deliziarci per tutto l’anno. Per garantire abbondanti fioriture bisogna
aver cura di effettuare potature leggere in estate e vigorose dopo l’inverno,
in modo da favorire il ringiovanimento dei rami (poiché è proprio sui nuovi che
si svilupperanno i fiori), posizionare la pianta in un luogo ben esposto al
sole e aver la pazienza di eliminare i fiori ormai appassiti e secchi. Come
sempre innaffiare quanto basta, aggiungendo del concime per piante fiorite ogni
10/20 giorni (da marzo a ottobre).
Ohh ve lo ricordate lo zucchero filato, una conditio sine qua non dei lunapark (al meno ai miei tempi). L’intramontabile bianco, unisex e rivolto agli over 11, il rosa invece del poppante gentil sesso (iniziava a sperimentare abbinamenti basici, alquanto rudimentali, del ton sur ton rivendicando il suo essere femmina e in quanto tale, rosa, decisamente rosa… totalmente rosa) e infine l’azzurrino, per gli under 11 e qualche Peter Pan over 30. Nessun bambino poteva farne a meno, io sì. Mi veniva appioppato ma, tutto quell’appiccicaticcio mi faceva senso e poi come affrontare quella matassa zuccherosa (ne ignoravo la tecnica) e così la offrivo a qualche ingordo coetaneo o attendevo il momento giusto per farla sparire. Generalmente nella casa stregata, ricordate, si saliva su una sorta di cariola e si faceva il percorso dell’orrore, va beh, parliamone. Quattro manichini scartati dall’Upim, truccati da mostri e streghe e bardati con 4 pezze vetuste e tagliuzzate che emettevano suoni simili a farfugliamenti da patate in bocca e lievi ritardi mentali. Va beh, forse ero troppo esigente. Il lato positivo, nell’oscurità potevo occultare lo zucchero filato di rappresentanza… lanciato in un angolino non dava alcun fastidio anzi, creava un po’ d’atmosfera. Un atto di altruismo quindi… no, la mia coscienza sapeva, volevo solo sbarazzarmi del balocco dalla cotonatura informe e poco male se arricchiva l’ambiente. Ma chi la fa l’aspetti e così, eccomi davanti a lui, il labirinto. Non mi convinceva, avevo un certo sentore… sarà stato il mio scarso senso di orientamento in rettilineo a renderlo poco attraente. Comunque, penso che posso farcela, sarà come per le montagne russe. In principio pensavo fossero il bruco mela (beh quattro dossi e tre curve le fa), ma poi quando ho visto le vere ohhh… non avevano neppure gli occhi e le antenne… pauraaa!! Quell’altezza, velocità e se succedesse qualcosa, a volte capita… qualcuno poi scuote il mio orgoglio dicendomi “ehy rain man col cerchietto, e dai, un po’di fatalismo” e allora sono lì, pronta e dopo attimi di panico ecco il divertimento puro e al terzo giro ultimato sono felice e iperadrenalinica al grido di ancora, ancora, siii. Ecco, la mia prima volta sulle montagne russe. Ma no, non sarebbe stato lo stesso con quel dannato labirinto. Adotto un’aria disinvolta però mi sento già un tantino smarrita e in quattro e quattr’otto ecco che mi ritrovo sola con un’altra anima errante, un ragazzo distaccato da almeno dieci minuti dai suoi amici. Sembrava stessimo giocando a mosca cieca anche se, sembravamo più due mosche in un bicchiere. E infine la disfatta di waterloo, l’addetta, mostrandoci l’orologio ci accompagna all’uscita, doveva chiudere. :( :(
Niente di grave, non c’è stato alcun esilio e mi son presto rifatta ma torniamo al fiore.
Da innumerevoli infiorescenze tanto graziose e delicate ci si
aspetterebbe di sentire chissà quale dolce e intenso profumo e invece no. Non
emette alcun olezzo, neppure un odoraccio o un vago sentore di esso, no, niente
di niente, è completamente inodore. Un fiore discreto che bea la vista e non
rischia di indisporre l’olfatto. Niente profumo e leggende legate a lunatiche
divinità o particolari riti per il bel fiore. Quelle di cui ho scritto poc’anzi
sono presenti in tutte le documentazioni che lo riguardano ma, in realtà ci si
chiede ancora se li facesse venire i mal di denti e per il piombo, beh, anche
qui ci son tante domande. Mancano infatti i classici studi compiuti da “uomini
che amano le piante”, così come direbbe Stefano Mancuso, capaci di fornirci,
per lo meno, binari su cui indagare. Di solito il pronunciare il suo nome è
sempre seguito da un “cosa”, uno o due punti interrogativi e aria di stupore e
sfida da parte dell’interlocutore. Già, perché socchiude gli occhi, si
concentra, questa è difficile ma vuole farcela… sarà un nome, città o cosa?
Boh! Beh, se l’azzurro fiore non compare in alcunché (in caso contrario scrivetemi)
sorprendentemente eccolo spuntare nel linguaggio dei fiori. E no, donarlo a una
persona non è un modo raffinato e alternativo per dirle che la sua presenza ci delizia
e aggrada quanto un panetto di piombo da spalmare su precarie fette biscottate (sì,
non sono quelle di Banderas, sono per una colazione alternativa, per
intenderci, niente biscottoni inzupposi) da imburrare per colazioni da
campioni… di un’intera squadra di affamati e impazienti rugbisti. No, non ha
alcuna relazione con il piombo ma ha il bel valore simbolico di complicità e
intesa.
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