29 novembre 2015



Plumbago

Il sole caldo e le nuotate son ben lontane. Lungi dal lamentarmi perché fin’ora il tempo è stato piuttosto generoso, ha regalato giornate più da primavera che d’autunno inoltrato. Quindi niente facce stupite e scontente di chi si domanda, e qui rubo l’esilarante battuta di un amico “ma veramente arriva l’inverno e finisce il caldo? Peccato, siamo solo all’ 81 di Settembre!”. Rassegnatevi, è ormai tempo di cappotti, stivali, sciarpette, te caldi delle cinque e puntuali e inopportuni raffreddori da fine settimana. E i parchi e i giardini si colorano di solo verde, quà e là le ultime foglie rosse e gialle ballano su spogli rami e poi, con qualche pirouettes, si tuffan giù a comporre strade pronte a danzare, a volteggiare ancora, col primo soffio di vento. Bimbi che con i loro stivaletti rossi sembrano dover fare il censimento delle pozzanghere del parco, il tepore sotto le cuffiette e i guanti di lana bianca, lo scrocchiare delle foglie secche sotto gli stivaletti rossi e poi il ricordo di una vecchia filastrocca… à la claire fontaine je m’en allant promener, j’ai trouvé l’eau si belle que je m’y suis baignée, il y a longtemps que… Viali spogli, tanto verde e di colori non c’è che il rosso un po’ sbiadito di quegli stivaletti ma, guardando meglio, in un angolo ecco ancora un po’di colore, per niente sbiadito, è l’azzurro del fiore del giorno, il Plumbago.



Il Plumbago è un arbusto sempreverde a portamento sarmentoso, appartenente alla famiglia delle Plumbaginaceae, è originario dell’Africa del Sud ed è stato introdotto come pianta ornamentale, dapprima, nelle indie orientali dagli Olandesi della Compagnia delle Indie e successivamente si è espanso praticamente ovunque divenendo un’immancabile presenza nei giardini e nelle case di un po’ tutto il mondo. Irrinunciabile quanto i nani da giardino negli anni 80 soprattutto in quella parte di mondo che beneficia di un clima mite e temperato (non per i nani che sanno il fatto loro pure sotto la neve). Condizioni in cui la pianta da il meglio di sé garantendo una fioritura continua.
Plumbago, che nome particolare! Non so voi, ma io non lo trovo provvisto di quella grazia rappresentativa di un fiore tanto delicato. Il suo nome deriva da una leggenda che attribuiva alla pianta poteri portentosi nella cura contro l’avvelenamento da piombo = plumbum (in latino). Del genere plumbago fanno parte almeno 15/20 specie tutte di origine africana e asiatica (fuorché una: il plumbago europeo). Il Plumbago del giorno è della specie Auriculata o Capensis, come già detto di origine africana, sono in molti a pensare che i due termini designino piante diverse ma non è così, diciamo che l’è stato dato il doppio nome. Infatti Auriculata deriva dal latino auricula = orecchio, nome dato dal botanico Lamark nel 1784 che, nelle due foglioline che compongono il picciolo, vide inequivocabilmente la forma di due grandi orecchie. In seguito è stata ribattezzata Capensis dal botanico Thunberg, ispiratosi invece al Capo, il luogo d’origine della pianta.
Benché sia ampiamente usato il termine di derivazione latina in ogni parte del globo, non possono mancare di certo i nomi vernacolari. Così in Italia il fiore è anche noto come gelsomino azzurro per via dell’abbondante e voluminosa fioritura (perché col gelsomino non ha proprio nulla a che spartire) o Caprinella del Capo, nome collegato alla Caprinella, ossia l’unico Plumbago europeo. Scelte condivise dall’inglese, in cui prevale sempre il nome tecnico ma, che ogni tanto si ispira a lontane leggende o a cieli plumbei chiamandolo Cape Laedwort (lead = piombo) per poi scivolare, di tanto in tanto, nell’impreciso Blue-Jasmine. Di tutt’altro avviso il francese, in cui è noto come Dentellaine du Cap. In questo caso non c’entra nulla né il cielo né il piombo ma i denti, già, perché si raccontava che la pianta si usasse per alleviarne il fastidioso dolore. E ancora, sull’isola La Réunion lo chiamano Pervenche à fleurs bleues (Pervinca azzurra) perché proprio come la Pervinca è diventata una pianta invasiva.
Curiosità: Plumbago, il parafulmini a impatto zero. Una lontana leggenda, di cui, non si conosce l’origine, dice che un bastoncino di questa pianta, se posto sul tetto di paglia della capanne, tenga lontani i fulmini. Certo, chi non ha una capanna da proteggere, funzionerà anche con le casette di legno? Chissà, forse questo mito arriva da un periodo remoto… fatto di capanne, villaggi da rifare e gente che non sapeva più a che santo votarsi.
La bella Caprinella sudafricana presenta fusti sottili e legnosi (teneri quando giovani) che possono arrivare fino ai 2-3 metri di lunghezza in una sola stagione vegetativa. Grazie al portamento sarmentoso si possono creare diversi scenari anche in uno stesso giardino. Ad esempio si può lasciare la pianta a briglie sciolte tanto da avere un bel cespuglio rigoglioso e un po’ disordinato col classico portamento a fontana oppure, si possono creare delle bordure mantenendo a bada gli scalmanati steli con vigorose potature (che tra l’altro ne favoriranno le fioriture) o semplicemente, si possono, direzionare su tralicci e strutture a rivestire muri o verande.
Ma vediamo la pianta nel dettaglio. Le foglie site sugli steli ramificati sono di forma ovata, alterne, piccole (di 4-6cm), di colore verde chiaro, sottili e precedute dal particolare picciolo alato (alla cui base ci sono due piccole foglie, che piacquero tanto a Lamark!). E all’estremità degli steli ecco delle spighe su cui trovano dimora numerosissime infiorescenze a ombrella costituite da una moltitudine (ben più di 20) di piccoli fiori azzurri. 
Ed ora, il fiore nel dettaglio. Inizio con lo strano sepalo che, tubolare e di 1-1,5 cm, sulla parte terminale presenta dei particolarissimi peli ghiandolari appiccicosi. Tanto collosi che se cogliete un fiore vi rimarrà attaccato al dito e se il vostro cane dovesse passare nei paraggi della pianta… state pur certi che ve ne accorgerete, già, perché il suo manto sarà punteggiato di questi fiori, o meglio, dei suoi sepali (infatti accade quando i fiori sono già appassiti) diventando, così, un portatore sano di Plumbago. Si pensa infatti che la particolare struttura tentacolata, aderendo al manto degli animali, ne agevoli la dispersione dei semi (la cosiddetta dispersione epizooria). Proseguiamo con il lungo tubo corillico, di ben 2,5 cm, e infine la corolla piatta e rosacea (ossia con petali uguali e disposti circolarmente) a 5 petali (di solo circa 1,5 cm di lunghezza e 1 di diametro) dal cui centro è visibile il sottile pistillo bianco e i filamenti. I petali sono sottilissimi e delicatissimi tant’è che dopo un acquazzone saranno stropicciati e appallottolati come carta velina, ma poco male perché il giorno seguente ce ne saranno degli altri nuovi di zecca.

Se leggendo questo articolo e vedendo le foto pensate che la pianta tentacolata faccia per voi ecco, come sempre, qualche consiglio. E’ una pianta semirustica e come tale non ha particolari esigenze. Sicuramente è meglio piantarla in piena terra in un terreno drenato, sabbioso e leggermente acido e in una zona con clima temperato. E se al contrario vivete in freddini luoghi del nord (dipende quanto a nord… se tanto nord… mmm… mi spiace, non fa per voi). Tenete presente che la pianta muore al di sotto degli 8 gradi, quindi nei mesi più freddi, sarà meglio ricoverarla all’interno delle vostre case oppure, tagliando tutti i rami e coprendone la base attendere speranzosi la successiva primavera (generalmente si riprende e cresce vigorosamente). La sua fioritura è abbondante e prolungata. Inizia nei mesi di maggio e giugno per terminare ai primi freddi ma, se in un clima a lei confacente, non necessariamente pantropicale (ormai si è ben acclimatata anche al nostro clima mediterraneo), può deliziarci per tutto l’anno. Per garantire abbondanti fioriture bisogna aver cura di effettuare potature leggere in estate e vigorose dopo l’inverno, in modo da favorire il ringiovanimento dei rami (poiché è proprio sui nuovi che si svilupperanno i fiori), posizionare la pianta in un luogo ben esposto al sole e aver la pazienza di eliminare i fiori ormai appassiti e secchi. Come sempre innaffiare quanto basta, aggiungendo del concime per piante fiorite ogni 10/20 giorni (da marzo a ottobre).


Ed ecco nei vostri giardini e/o balconi centinaia e centinaia di fiori che ora appaiono come una moltitudine di piccoli bouquets tondeggianti ora, invece, come uno sciame floreale che disegna chiare nuvole d’azzurro zucchero filato. E ancora come azzurrissime cascate tropicali per poi finire con soffici e vaporose nuvole bianche. Che ne dite, mica male? Tanta roba per una pianta… e voi che ci vedete? Ok, non sono vere nuvole e non stiamo giocando a “cosa ci vedi” e, soprattutto, abbiamo superato i 10 anni da qualche lustro. Però, il nome Auricula non fu forse frutto di un “cosa ci vedi” di un autorevole botanico! Quante suggestive immagini può regalarci il nostro Plumbago Capensis grazie all’esuberanza e alle sfumature delle sue fioriture che vanno dal caratteristico azzurro chiaro e azzurro plumbeo a un azzurro intensissimo, come quello di un bel cielo estivo, presente nella varietà del Royal Blue (tra l’altro più resistente a gelo e siccità) fino ad arrivare al candido bianco della varietà Alba


Ohh ve lo ricordate lo zucchero filato, una conditio sine qua non dei lunapark (al meno ai miei tempi). L’intramontabile bianco, unisex e rivolto agli over 11, il rosa invece del poppante gentil sesso (iniziava a sperimentare abbinamenti basici, alquanto rudimentali, del ton sur ton rivendicando il suo essere femmina e in quanto tale, rosa, decisamente rosa… totalmente rosa) e infine l’azzurrino, per gli under 11 e qualche Peter Pan over 30. Nessun bambino poteva farne a meno, io sì. Mi veniva appioppato ma, tutto quell’appiccicaticcio mi faceva senso e poi come affrontare quella matassa zuccherosa (ne ignoravo la tecnica) e così la offrivo a qualche ingordo coetaneo o attendevo il momento giusto per farla sparire. Generalmente nella casa stregata, ricordate, si saliva su una sorta di cariola e si faceva il percorso dell’orrore, va beh, parliamone. Quattro manichini scartati dall’Upim, truccati da mostri e streghe e bardati con 4 pezze vetuste e tagliuzzate che emettevano suoni simili a farfugliamenti da patate in bocca e lievi ritardi mentali. Va beh, forse ero troppo esigente. Il lato positivo, nell’oscurità potevo occultare lo zucchero filato di rappresentanza… lanciato in un angolino non dava alcun fastidio anzi, creava un po’ d’atmosfera. Un atto di altruismo quindi… no, la mia coscienza sapeva, volevo solo sbarazzarmi del balocco dalla cotonatura informe e poco male se arricchiva l’ambiente. Ma chi la fa l’aspetti e così, eccomi davanti a lui, il labirinto. Non mi convinceva, avevo un certo sentore… sarà stato il mio scarso senso di orientamento in rettilineo a renderlo poco attraente. Comunque, penso che posso farcela, sarà come per le montagne russe. In principio pensavo fossero il bruco mela (beh quattro dossi e tre curve le fa), ma poi quando ho visto le vere ohhh… non avevano neppure gli occhi e le antenne… pauraaa!! Quell’altezza, velocità e se succedesse qualcosa, a volte capita… qualcuno poi scuote il mio orgoglio dicendomi “ehy rain man col cerchietto, e dai, un po’di fatalismo” e allora sono lì, pronta e dopo attimi di panico ecco il divertimento puro e al terzo giro ultimato sono felice e iperadrenalinica al grido di ancora, ancora, siii. Ecco, la mia prima volta sulle montagne russe. Ma no, non sarebbe stato lo stesso con quel dannato labirinto. Adotto un’aria disinvolta però mi sento già un tantino smarrita e in quattro e quattr’otto ecco che mi ritrovo sola con un’altra anima errante, un ragazzo distaccato da almeno dieci minuti dai suoi amici. Sembrava stessimo giocando a mosca cieca anche se, sembravamo più due mosche in un bicchiere. E infine la disfatta di waterloo, l’addetta, mostrandoci l’orologio ci accompagna all’uscita, doveva chiudere. :( :(
Niente di grave, non c’è stato alcun esilio e mi son presto rifatta ma torniamo al fiore

Da innumerevoli infiorescenze tanto graziose e delicate ci si aspetterebbe di sentire chissà quale dolce e intenso profumo e invece no. Non emette alcun olezzo, neppure un odoraccio o un vago sentore di esso, no, niente di niente, è completamente inodore. Un fiore discreto che bea la vista e non rischia di indisporre l’olfatto. Niente profumo e leggende legate a lunatiche divinità o particolari riti per il bel fiore. Quelle di cui ho scritto poc’anzi sono presenti in tutte le documentazioni che lo riguardano ma, in realtà ci si chiede ancora se li facesse venire i mal di denti e per il piombo, beh, anche qui ci son tante domande. Mancano infatti i classici studi compiuti da “uomini che amano le piante”, così come direbbe Stefano Mancuso, capaci di fornirci, per lo meno, binari su cui indagare. Di solito il pronunciare il suo nome è sempre seguito da un “cosa”, uno o due punti interrogativi e aria di stupore e sfida da parte dell’interlocutore. Già, perché socchiude gli occhi, si concentra, questa è difficile ma vuole farcela… sarà un nome, città o cosa? Boh! Beh, se l’azzurro fiore non compare in alcunché (in caso contrario scrivetemi) sorprendentemente eccolo spuntare nel linguaggio dei fiori. E no, donarlo a una persona non è un modo raffinato e alternativo per dirle che la sua presenza ci delizia e aggrada quanto un panetto di piombo da spalmare su precarie fette biscottate (sì, non sono quelle di Banderas, sono per una colazione alternativa, per intenderci, niente biscottoni inzupposi) da imburrare per colazioni da campioni… di un’intera squadra di affamati e impazienti rugbisti. No, non ha alcuna relazione con il piombo ma ha il bel valore simbolico di complicità e intesa.




31 agosto 2015


  
Giglio di Mare



Sento il mare dentro una conchiglia, è estate, l’eternità è un battito di ciglia… è fine agosto e ci godiamo questi ultimi momenti di estate… che cucita addosso, sembra non dover finire mai e… sempre come canta Lorenzo… mi butto, mi getto tra le braccia del vento con le mani mi faccio una vela e tutti i sensi li sento più accesi, più vivi… Scrivendo di estate come non pensare alle vacanze, a quelle lunghissime, e rigorosamente al mare, di quando eravamo piccoli. Gelati, nuotate, ginocchia sbucciate, quel salato perenne tra le labbra… proprio un’eternità in un battito di ciglia e vi ricordate le partenze, epiche!! Non mi riferisco tanto a quelle di oggi, forse più organizzate o comunque da un trolley e via, no, vi parlo di quelle di qualche anno fa, veri e propri traslochi di intere famiglie migranti in località balneari. E come non ricordare lui, l’immancabile portapacchi su cui, a dire delle mamme, ci doveva stare giusto un doppio cambio e due giochini dei bimbi per il mare… Ma che a vedere le dimensioni di quella paffuta e informe massa di valigie e valigette (qualche volta ci ho visto pure sedioline), che perennemente cercava di schiacciare il povero portabagagli, sembrava più un’intera collezione 4 stagioni per ogni componente della famiglia e i giochini, una moltitudine di pale, palettine e secchielli con cui erigere veri e propri quartieri abusivi sull’arenile. E tra castelli di sabbia, o meglio, villaggi e borghi, racchette e creme solari lui, il fiore del giorno: il giglio di mare.


Inizio col fare una piccola precisazione. Il giglio di mare in realtà non è un giglio. Probabilmente questo nome gli è stato dato per la somiglianza che ha con quest’ultimo per via dello stesso perigonio imbutiforme a sei tepali (ossia la parte esterna del fiore costituita dai tepali) e le antere vistose. Ma… guardandolo attentamente si scorge una considerevole similitudine con un altro fiore, il narciso. Ormai ben noto a tutti noi (a chi ancora ignoto, corra a vedere il post precedente). Entrambi i fiori appartengono alla famiglia delle Amaryllidaceae e condividono alcune similitudini morfologiche tra cui, la più spettacolare ed evidente: la paracorolla.  Opinione piuttosto condivisa tanto che in inglese il nome comune più usato, nonostante compaia anche come Mediterrean lily e Lily of S.Nicolas (Lily = Giglio), è proprio Sea Daffodil. Qualche volta appare anche come sand daffodil… ma che sia di mare o di sabbia sempre di daffodil si tratta. E infatti si sa, gli inglesi in quanto a precisione proprio non sgarrano. Anche il francese lo conosce come Narcisse de mer e Pancrace tyrrhénien (anch’esso un nome piuttosto preciso, di cui capirete a breve) ma, allontanandosi dalla proverbiale meticolosità anglosassone, preferisce chiamarlo Lis de mer (giglio di mare). Tendenza condivisa dall’italiano (lingua da voli pindarici di poesia) nel quale pur comparendo come Narciso di mare preferisce il nome di Giglio di mare o, per gli anglofili, i più precisini, Giglio pancrazio.
Ma c’è un nome che mette d’accordo tutti, quello botanico, ossia Pancratium Maritimum. Il nome del genere deriva dal greco pan = tutto e kratos = potenza, mentre quello specifico deriva dal latino maritimum = marittimo. Probabilmente con questo nome si alludeva alla capacità della pianta di resistere alle difficili condizioni del suo habitat o alle presunte virtù medicinali, infatti sarebbero edibili le radici e i semi. Tuttavia è ritenuta una pianta tossica per via di alcuni alcaloidi che darebbero degli effetti allucinogeni, quindi, come sempre, meglio chiedere un parere a un professionista prima di assumere qualsivoglia parte della pianta.

Il pancratium maritimum è una bulbosa perenne originaria del bacino mediterraneo
europeo. E’ provvisto di foglie basali e nastriformi di color verde glauco e dotate di una lieve scanalatura centrale, spesso marcescenti durante la fioritura. Sono  larghe 1 - 2 cm e lunghe fino a 50 - 60 cm, succulente, ritorte a spirale e particolarmente flessibili e resistenti. Forma e consistenza che garantiscono un ostacolo naturale contro i detriti, quale sabbia e quant’altro, depositati dal vento. Dalle foglie si erige lo scapo afillo (ossia privo di foglie), alto dai 20 a 50 cm, al cui apice si trova un’infiorescenza a ombrella provvista di 3 - 10 fiori grandi e di color bianco.

E infine l’incantevole fiore, provvisto di corolla e paracorolla. La prima ha sei tepali lanceolati (a forma di punta di lancia, quindi sottili e appuntiti) che sul lato esterno presentano una striatura verde nel mezzo. La corona invece è ampia, largamente campanulata ed è composta da 6 lobi biforcati che formano 12 denti triangolari tra cui sono inseriti i sei stami sormontati dalle rispettive antere gialle a forma di arco, mentre dal suo centro si innalza il pistillo sporgente, l’organo femminile del fiore (fondamentale per l’impollinazione). Pistillo che, una volta scomparso il fiore, darà vita ai frutti, capsule ovali e coriacee di 2 – 3 cm, che a maturità, verso Ottobre, si apriranno per far fuoriuscire i semi, di color nero lucente e di forma irregolare.

Frutti

A proposito… pistilli, semi, polline ecc… vi ricordan qualcosa, e se dico api, apine, apucce? Ho usato la parola chiave, lo sapevo, iniziano a riaffiorare ricordi nelle vostre menti. Lontane lontane lezioni trascorse su piccoli banchi… i quadernoni rigorosamente a quadretti (perché, si sa, per le materie scientifiche il quadretto era d’obbligo, raramente e in via del tutto eccezionale, e soprattutto con maestre appagate e felici, veniva consentita la scelta tra il quadretto piccolo e grande) e noi a disegnare api piccine, paffute, tanto obese da sembrare libellule, e pure appesantite, aliene e poi quelle da selfie, con tanto di ciglia e sorriso contornato da procaci labbra rosse. Già, chi non ricorda le api e i loro svolazzamenti tra un fiore e l’altro: metafore, spesso poco comprese, di ben altre impollinazioni. E già, quanto caos han generato!! Caos e traumi… scoprire che la cicogna non ha alcuna predilezione per i neonati e tutt’al più ti ottura la canna fumaria. Per non parlare dei cavoli che, a parte che non ci saresti mai stato (eri piccolo ma non uno gnomo, le prove? I filmati di 35 ore e un quarto girati da tuo padre mentre… dormivi, immobile) non avrebbero potuto sostenere il ritmo dei nuovi arrivi (si sarebbe cercata vita su Marte, sì, ma per piantarci cavoli) e poi tutta quell’umidità. Come se non bastasse arrivan ‘ste api a complicare il tutto, il polline assume l’aspetto di una ciurma di girini nevrotici e proprio non riesci ad associare tutto l’ambaradam al pancione di mamma. Qualcosa sfugge, manca, vuoi capire! Indici summit al parco coi tuoi compagni e, dopo lo scivolo e la merenda provi a venirne a capo ma vengon prodotte astruse teorie. I più romantici e tradizionalisti optano per una mamma che ha fatto incetta di cavoli portati da una cicogna (perché a una relazione con la cicogna proprio non potevano rinunciare) e oplà, in uno, a modi spora, c’eri tu con le sembianze da girino che, come un semino mettevi le tende nel ventre materno e da lì saresti diventato un bambino. I più attenti avevano ben capito che serviva anche un maschio e che dal loro contatto ti saresti piantato nella pancia. Erano anche i più ansiosi, soprattutto le bimbe, che cercavano di evitare ogni contatto, per non parlare del bacio sulle labbra…ohhhh si sarebbe diventate bimbe-madri di sicuro. Mentre i più evoluti e cinici, (e c’ero anch’io), abbandonando suggestive leggende, avevano capito che serviva una donna e un uomo (bene), che dovevano trovarsi a letto (si pensava già alla versione più comoda) essere sposati o comunque volersi molto bene (certo, come no) e che in un dato momento, preferibilmente durante la notte, sarebbero apparsi, non si sa come, ‘sti immancabili girini/semini, e se fosse stato il momento giusto, in una sorta di girotondo si sarebbero uniti e piantati nel ventre materno entrando dalla bocca materna (sì, come no). Qualche anno dopo io e il mio staff comprendemmo… ecco cosa mancava!!

Ma vediamo meglio cos'è l' impollinazione in botanica. Consiste nel trasporto del polline (garantito da acqua,  vento, insetti, ecc..) dalle antere (parti terminali degli stami: organi maschili), che una volta giunte a maturazione rilasciano i granuli di polline, allo stimma (la parte terminale del pistillo). Da qui il viaggio verso l’ovario in cui le due parti, femminili e maschili, si fonderanno dando vita ai frutti. Inoltre a seconda della pianta vi possono essere delle differenze nell’impollinazione. Infatti quella del pancrazio è entomogama ed eterogama, ossia avviene tramite insetti, in special modo per mezzo delle farfalle notturne, le falene e avviene su fiori di diverse piante. Ciò è reso possibile dalle peculiarità del fiore che si schiude nel tardo pomeriggio, chiudendosi solo il pomeriggio seguente.  Così da rimaner aperto e disponibile per tutta la notte, a ciò, si aggiunga il color bianco candido e il profumo dolce e intenso... tanto da risplendere come cielo in terra nelle serene notti blu e tracciare sentieri sensoriali sull’ estiva sabbia… insomma, veri e propri punti di ritrovo e ristoro, facilmente rintracciabili, per le belle falene. Ho scritto serene notti perché degli studi han mostrato che la fecondazione avverrebbe in mancanza o parziale presenza di vento, in caso di forte vento la fecondazione non avrebbe luogo. Per quanto attiene la seconda caratteristica, il pistillo è fecondato soltanto da granuli di polline di fiori provenienti da un’altra pianta, per intenderci, può essere il polline del fiore di una piantina di pancrazio sita a pochi cm. di distanza o a un km., non importa, ma mai vi sarà un’impollinazione tra fiori della stessa pianta.
 
Semi
Curiosità: Pancrazio, il fiore che nuota! Il vero e proprio seme della pianta è situato all’interno di una massa spugnosa e leggerissima che, come un salvagente, permette al seme di galleggiare sull’acqua. Quindi prima il vento disperde qua e là i semi caduti, poi le onde delle mareggiate li raccolgono e li disseminano, grazie alle correnti, in altri punti della costa, anche molto lontani. Pensate che ci sono pancratium maritimum anche sulle coste atlantiche, altro che nuotatine… son semi da triatlon!! E’ per questo che tale disseminazione, curiosa e originale, è chiamata idrocora. Strategia usata da altre pochissime piante, tra cui, la più conosciuta, la noce di cocco.


Le vincenti astuzie con cui gli avventurosi semi di pancrazio amano diffondersi e le caratteristiche delle foglie e del bulbo (veri e propri serbatoi di sostanze nutritive), purtroppo, oggi non sono sufficienti a garantirne la sopravvivenza. Infatti in luoghi in cui un tempo prosperava, ora è addirittura ritenuta una pianta rara e sottoposta a tutela ambientale. L’habitat dunale è già di per sé un luogo instabile, rimodellato di continuo dalle correnti e dai venti. Proprio per questo le  piante psammofile (che come il nostro pancrazio vivono sui terreni sabbiosi: dalla battigia alle dune più interne) trattengono e favoriscono gli accumuli di sabbia, diventando una presenza indispensabile per la salute delle coste. Se a ciò aggiungiamo anche i nefasti effetti dei colonizzatori bipedi… beh… dune, spiagge, flora e il mare stesso sono, sul serio, in pericolo. Chi sono ’sti bipedi… beh, naturalmente, noi. Il sovraffollamento delle spiagge, il continuo calpestio, lo stazionamento sulle dune, solchi e spianamenti lasciati da veicoli e persone cambiano irrimediabilmente i già tanto precari equilibri dell’ambiente. Per non parlare poi di quei piccoli singoli gesti che sommati divengono enormi violenze di massa come la raccolta di sabbia, conchiglie, ciottoli, fiori e piante. E quando si fa notare che tale comportamento non è consono e, per giunta, sanzionabile con multe salatissime… i bipedi replicano, riesumando vetuste espressioni di stupore e innocenza risalenti al loro terzo anno di vita, che non credevano… che in fondo si tratta solo di un pugnetto di una sabbia rosa mai vista, di una manciata di sassolini, due piantine e un fiore. Rispettivamente da ammirare e far ammirare in una bottiglia di plastica sulla mensola di cucina con su scritto ‘ricordo estate 2015 loove :-), da porre nella ciotolina sul tavolino del salottino che fa molto… esotico, e poi che fai non arredi il balcone con un po’ di verde e il giglio di mare, che fai, non te lo metti tra i capelli per un selfie!!!

Se il pancrazio marittimo e i suoi fiori vi hanno stregato al punto di non volerne più fare a meno, senza sradicare alcuna pianta, potete comprare i bulbi o i semi in commercio, seguire le istruzioni e voilà! Qualche piccolo consiglio. Innanzitutto meglio comprare i bulbi, con i semi l’attesa si prolunga notevolmente, piantarli in autunno (prima delle gelate) o in primavera (dopo le gelate). Il terreno deve essere ben drenato, e se posti in vasi ricordate di prenderli profondi perché hanno lunghe radici, devon esser piantati in profondità e ricoperti da circa 6/9 cm di terra. Non hanno particolari esigenze idriche, anzi è bene controllare che la terra sia ben asciutta e che le temperature non vadano al di sotto dello 0 (in tal caso copriteli). Da buona pianta di mare ama l’esposizione al sole, giusto quando fiorisce mettetela un poco all’ombra per far durare un po’ di più i brillanti fiori. Se i cespi dovessero farsi troppo fitti procedete alla divisione ma, c’è tempo, va fatta ogni 5/6 anni.

La coltivazione può essere un bel modo per averne un po’ nel proprio giardino o a casa e magari chissà, i semi viaggiatori potrebbero arrivare in qualche spiaggia ormai quasi spoglia e ripopolarla. Ci sono molte regioni in cui trovare una pianta di pancratium maritimum è una vera e propria impresa, in altre coste invece rappresenta un appuntamento fisso, una presenza costante e rassicurante che accompagna l’ennesima nuova estate. Come nella meravigliosa Sardegna. Ho trovato spiagge in cui c’erano veri e propri tappeti di pancrazi, che spettacolo e… anche di notte, tutto quel bianco assoluto quasi abbaglia!!! Ma la Sardegna ama stupire e tadà… ecco un’altra specie: il Pancratium Illyricum. Nonostante il nome specifico illyricum = dell’Illiria, si riferisca a un’antica regione dell’Adriatico orientale (ci fu una svista) è endemico della Sardegna ed è conosciuto col nome di Giglio Stella. A differenza del Maritimum trova il suo habitat tra rocce silicee e prati freschi e umidi, il suo periodo di antesi (ossia fioritura) è tra Aprile e Maggio. Varia un po’ anche nell’aspetto. Le sue foglie, sono più lunghe e larghe con l’apice arrotondato. Il perigonio è corto, i tepali sono più larghi, la corolla è decisamente corta e affatto ampia e infine gli stami sono molto più lunghi. In giro per il mondo ci sono anche altre specie, almeno altre 13/18, su cui glisserò.

E dulcis in fundo la simbologia del candido fiore a cosa è legata? Forse proprio dulcis non è visto che il pancrazio, come molti altri fiori, non è annoverato tra i tanti che compongono il linguaggio dei fiori. Eppure molti di questi, a cui non vien data parola, sono splendidi e sorprendenti (come il fiore corallo di cui scrissi in qualche post precedente). Di certo non vengono snobbati perché non ritenuti belli o importanti ma semplicemente perché poco conosciuti. In effetti se ci fate caso, si conosce il significato dei fiori più comuni, quelli che, nella stragrande maggioranza, possiamo trovare in qualsiasi negozio o nella memoria storica di anziane nonnine o in quadri di un tempo. Questo perché la florigrafia, sviluppatasi nell’800, ha elaborato un significato per ogni fiore e colore e si serviva, nella maggior parte dei casi, di fiori e piante facilmente reperibili. In tal modo, attraverso fiori e composizioni, si potevano comunicare emozioni e sensazioni in modo indiretto, per far intendere quel che proprio non si poteva dire. Ma si sa, tutto è in continua evoluzione, quindi perché non aggiungere fiori e creare la nostra lista, lo possiamo dare noi un significato, qui ed ora. Di che lo facciamo parlare? E ‘sta volta non esitate ad esser partecipativi e propositivi!! Dunque… per le sue caratteristiche, potrebbe rappresentare la tenacia, la forza, e come i semi che navigano alla ricerca di nuove terre… l’audacia nella vita, per spingersi oltre, cercare il meglio e non arrendersi mai. Condividete? Se il Pancrazio non compare nella lista ufficiale del linguaggio dei fiori è, però, protagonista di una leggenda che narra proprio della sua origine. In un tempo remoto, ai piani alti… lassù nell’Olimpo, il fedigrafo e arzillo Zeus ne combinò una delle sue. Si invaghì di Alcmena, bella e devotissima al marito, e per poterla fare sua, approfittando dell’assenza del coniuge Anfitrione, si presentò al suo cospetto assumendo le sembianze dell’uomo. Da quella lunghissima notte furono concepiti due gemelli, uno del marito e l’altro del re degli dei (vai a capire… ma son miti, tutto è possibile). Il pasticciaccio giunse alle orecchie di Era, la moglie di Zeus, e non la prese proprio bene. La dea dapprima provò a impedire la nascita del bimbo annodando le gambe della puerpera Alcmena e poi provò con due serpenti direttamente nella culla del piccolo ma, non si trattava di un bimbo come gli altri, no, lui era Eracle (Ercole nella versione romana). Un giorno mentre Era faceva un riposino le accostarono il piccolo al seno, a che potesse essere allattato col prezioso latte, ma una volta svegliatasi e aver compreso di chi si trattasse, la dea, repentinamente, lo strappò dal suo petto e così parte di quel latte divino schizzò nel cielo e formò la bianca Via Lattea e le sue luminose stelle ma, dal cielo alcune gocce ricaddero sulla terra, dando vita ai bianchissimi fiori.

Stelle tra la sabbia… che, come le sorelle, tracciano cammini tra  sentieri della solida terra… e noi seduti lì al limitare del mare in queste ultime notti estive. Attenderemo una nuova estate che troveremo, raggiungeremo su altri lidi… dai curiosi accenti… colori accesi e ancora lì, noi, nel ritrovato abbraccio tra cielo e terra, in questa luce di stelle, per un’altra nuova estate.





17 luglio 2015


Narciso


Luglio è un mese che ho sempre amato: piena estate, sole rovente, piacevoli incontri, risate, serate all’aperto, nuotate in mari blu, zanzare (sono immancabili come non menzionarle quindi…) autan e viaggi, viaggi, viaggi e tutto sembra non dover finire mai. E proprio un viaggio, un lungo viaggio, fatto con un’amica mi ispira il fiore del giorno. Destinazione: decisamente a Nord.
Era quasi primavera e in vista della meta ci siamo bardate di tutto punto con tanto di magliette, calze, calzettoni e quant’altro di tecnico. Forse un po’ troppo, talmente tecnico che sembrava dovessimo partecipare a qualche spedizione scientifica per 6 mesi in Groenlandia. Prima tappa: Londra, città di certo non nota per le sue miti temperature. Beh, arriviamo trafelate con le nostre valigie e valigette quando, di lì a poco qualcosa di inaspettato comincia a insinuarsi nelle nostre menti, e via via nelle nostre fauci,  financo nelle magliette ermetiche e le calzamaglie doppio cashmere con anima in pile di Nery, sentivamo… caldo, un gran caldo. E in un attimo ci siamo sentite come Totò e Peppino (in Totò, Peppino e la malafemmena) preparati ai glaciali freddi del Nord: in pelliccia, in stazione centrale, a Milano, in estate. Ecco, io e la mia amica: in piumino, in aeroporto, a Londra,  stagione azzeccata,  previsioni meteo toppate e tra gente in canottiera. Ci alleggeriamo un tantino, sembrava la “svestizione” di tutti e 12 i cavalieri della tavola rotonda, e in seguito raggiungiamo la meta, Edimburgo. Cielo terso, sole caldo e come… il vento gelido che continuamente soffia sulla città, la pioggia continua, le magliette a maniche corte che tanto non servono perché il sole ogni tanto fa giusto presenza… ci dissero che era da tempo che non faceva così caldo nell’intera Gran Bretagna, un evento eccezionale. E passeggiando per le vie di una città che dopo ogni scorcio e viuzza mi affascinava sempre di più, nei numerosi giardini e sulle pendici del castello troviamo loro, una moltitudine di narcisi in fiore che sembravano godersi, anche loro, il tepore del sole. E così… “anche qui  i narcisi, e che narcisi!”…  ho sorriso, riso e mi sono sentita a casa. Perché casa, in fondo, non è altro che uno spazio interiore.


Il narciso è originario del bacino del mediterraneo, ma ben presto, si è naturalizzato anche nel Nord d’Europa e parte dell’Africa. Si tratta di un’erbacea bulbosa perenne appartenente alla famiglia delle Amaryllidaceae. Il narciso, grazie alla sua bellezza e all’apprezzato profumo, oggi, è presente in ogni luogo e nelle più svariate combinazioni morfologiche. Sono state create talmente tante varianti che, tra sottospecie e cultivar (deriva dall’inglese cultivated variety ossia una varietà ottenuta artificialmente in cui vi sono determinate caratteristiche di particolare interesse trasmissibili con la propagazione per seme o parti di pianta), è pressoché impossibile fornirne un  numero dettagliato. Il profumo di questo fiore (in riferimento al narciso tazetta), intenso e penetrante, ha dato origine al nome. Narciso deriva dalla parola greca narke = sonno, torpore, stordimento, in seguito latinizzato in narcissus, rimasto tale e quale in inglese e di poco cambiato nel nome italiano e nel narcisse francese. Anche se spesso viene usato anche il nome di trombone e giunchiglia (così come in inglese viene usato il generico daffodil o il francese jeannette) ma queste denominazioni, in realtà, sono da usare solo per alcuni tipi di fiore. 
Ecco, per racapezzarci un po’ tra le migliaia di esemplari, qui, scriverò e mostrerò, le caratteristiche del narciso comune, il mediocoronato (il più conosciuto e coltivato) e del tazetta (ancora spontaneo in alcune zone italiane e sottoposto a tutela ambientale) mettendo un po’ d’ordine tra tromboni, giunchiglie (daffodils, jonquilles) e quant’altro.

narciso tazetta
Il fiore è composto da due parti: corolla e paracorolla. La prima, la parte più esterna del fiore, è provvista di sei tepali, in questo modo si chiamano i petali dei fiori sprovvisti di sepali (le foglioline verdi che precedono i petali, ben visibili quando, sul bocciolo, proteggono i petali). La parte interna è composta dall’inconfondibile paracorolla, detta anche corona, che varia da narciso a narciso. Può essere, infatti, macrocoronato con margine frastagliato, come nel narciso trombone, in cui la paracorolla ha una lunghezza pari, e in certi casi  maggiore, a quella dei tepali. Le dimensioni possono essere anche più contenute, come nel narciso comunemente coltivato, il mediocoronato, in cui la lunghezza è piuttosto varia ma comunque sempre inferiore a quella dei tepali. La corona può essere anche di pochi millimetri, a forma di tazza con margine liscio come nel minuscolo, nonché mio preferito, narciso tazetta.  Invece i colori dei tepali e della corona sono delle più diverse combinazioni fuorché per alcune specie (per lo meno nella varietà spontanea) come ad esempio il tazetta e la giunchiglia. La prima specie ha la corona gialla e i tepali biancastri o bianco latte mentre la seconda ha entrambi sempre e solo di color giallo giunchiglia. E poi c’è anche il narciso in cui la corona è proprio assente o nascosta tra i tepali moltiplicati, come nei narcisi a fiori pieni o doppi. E dulcis in fundo: l’inconfondibile profumo, intensissimo nelle varietà spontanee, quali i già citati tazetta e giunchiglia. Oggi giorno i diversi cultivar ci offrono un numero incalcolabile di varianti per dimensioni, colori e combinazioni. Quindi che siano bianchi, gialli, arancioni, rossi o addirittura rosa, monocromati o policromati, più o meno odorosi, non c’è che l’imbarazzo della scelta!!                                                                  Le foglie sono nastriformi, di colore grigio-verde, leggermente scanalate, rigide e ripiegate a metà. Tra le foglie si erige lo scapo o fusto, più lungo delle foglie, carnoso, a sezione quadrangolare o triangolare alla cui  estremità, dopo la spata membranosa biancastra, si trova un singolo fiore o un’infiorescenza (quando ci sono più fiori che formano un’ombrella di diversi elementi penduli e posti su peduncoli di diversa lunghezza come nei tazetta).
E ora piantiamoli!! Per avere dei bei narcisi nei vostri giardini o vasi non occorre avere il pollice verde, sono piuttosto rustici e poco esigenti, basta avere cura di pochi dettagli e la fioritura, che inizia da Febbraio fino a Maggio, è assicurata.
I bulbi devono essere posti a dimora in autunno, da Ottobre a Novembre, in una zona soleggiata o a mezz’ombra, purché  le piante possano godere di qualche ora di piena luce (fondamentale per la fioritura).  Non hanno particolari esigenze idriche, giusto in caso di primavere particolarmente calde è bene innaffiarli. Devono essere inseriti a una profondità doppia rispetto alla loro altezza e lievemente obliqui, per evitare che nel tempo vadano più in profondità. Ovviamente per creare un bell’effetto piantatene diversi e vicini gli uni agli altri, a una distanza di circa 10-15 cm tra loro.  Che terreno scegliere… non ci sono problemi, ma se proprio volete far le cose comme il faut sappiate che prediligono un terreno argilloso e non amano i ristagni quindi, nel fondo, è bene creare uno strato drenante con dell’argilla espansa o dei sassolini.
Come tutte le bulbose necessitano di essere concimati dall’inizio del ciclo vegetativo (fine dell’inverno) a quando le foglie sono completamente secche. Purtroppo i bei fiori durano solo una decina di giorni ma attenzione a non tagliare il narciso appena sfiorito perché le bulbose immagazzinano sostanze nutritive al loro interno per poter fiorire l’anno successivo avvalendosi della fotosintesi praticata per l’appunto dalle parti verdi. Lasciate il fogliame fino al suo ingiallimento.

Il significato più diffuso del narciso è legato al mito greco che narra di un giovinetto la cui bellezza non faceva che aumentare, come del resto la sua vanità e uno smisurato e incondizionato amore di sé che lo portarono a rifiutare i sentimenti di chiunque si innamorasse di lui. Un giorno, inseguendo un cervo, si specchiò nell’acqua di una fonte e non riconoscendosi si invaghì di se stesso perdutamente e struggendosi per quell’amore impossibile morì… e là dove cadde il suo sangue nacque un fiore che porterà il suo nome. Da lui deriva l’aggettivo narcisista, che chissà quante volte abbiamo rivolto (o ci è stato rivolto) a persone che, come nel mito, amano solo se stesse, non si mettono mai in discussione e sono incapaci di vedere e aprirsi all’altro.

Il narciso, apprezzato fin da tempi remoti, tra i celti simboleggiava la purezza ma col tempo nacque una credenza per la quale il fiore si pensava che assorbisse i pensieri negativi e malvagi degli esseri umani e che proprio per questo fosse diventato velenoso.
Che i celti avessero ragione? La bellezza delicata e sofisticata del narciso eguaglia infatti la sua tossicità. Nel bulbo si concentra, infatti la narcisina, un alcaloide tossico letale. Alcuni anni fa fu scoperto che alcuni animali al pascolo morirono proprio per aver brucato la pianta. Da alcune specie si ricava, invece la galantamina, usata per la terapia delle forme di malattia di Alzheimer  e di altri disturbi della memoria. Per i nefasti effetti del fiore gli antichi romani lo avevano eletto come fiore dell’aldilà e solevano piantarlo vicino alle tombe dei cari. Fu anche dedicato alla dea Ecate: la dea triplice, degli spettri, degli incantesimi, delle streghe e guida nel regno dei morti… che allegria! Era anche la dea degli incroci (e questo ci fa… simpatia), le sue statue rappresentate con tre teste venivan poste agli incroci a protezione dei viandanti. Una vera e propria antesignana dell’ intero corpo municipale… alla quale non sfuggiva nulla (e grazie, con sei occhi!!) e che invece di inviare contravvenzioni entro 90 giorni si avvaleva di ben più efficaci  maledizioni… lanciate entro 90 secondi. Che dire, servizio inappuntabile!!! Insomma limitiamoci ad incrociare i narcisi giusto nei nostri giardini o balconi, a ben interrarli e astenendoci  dal merendarci… perché altrimenti Ecate si offre subito come guida, arriva in un attimo, tanto è lì, al primo incrocio. 


Ed ora, finalmente, passiamo dall’aldilà all’aldiquà, facendo un sospiro di sollievo, grazie ai nostri amici cinesi. Già, perché da loro il fiore simboleggia fortuna e prosperità, per via della fioritura che corrisponde alla festa di primavera, a noi nota come il capodanno cinese celebrato verso la fine di febbraio. Regalare narcisi è molto gradito se si sta cercando più  fortuna nella vita e nel caso di un nuovo lavoro.

Curiosità: nell'arte del tatuaggio cinese il narciso rappresenta l'augurio di far emergere il proprio potenziale interiore e di ottenere riconoscimenti per il proprio lavoro.

Anche se, a dire il vero, il significato positivo si deve al narciso giunchiglia, che da sempre contrariamente al narciso comune, ha rappresentato amore e desiderio per gli altri. Nel tempo è diventato sinonimo di portafortuna, felicità, prosperità e il desiderio è diventato un lascivo e voluttuoso desìo da rivolgere ad una persona speciale.


Quindi per rendere esplicite ed inequivocabili le vostre intenzioni, e farlo con l’estremo savoir faire ed eleganza che di sicuro vi contraddistinguono, regalate… un bel mazzo di rose rosse punteggiato dai gialli narcisi giunchiglia.  E… dopo il dessert nel ristorantino al limitare del mare…  una the look of love in lontananza accompagna il sottofondo  delle onde che si infrangono… si spengono le candele e… Avvertenze: astenersi dal regalare i succitati fiori al primo appuntamento, perché potreste incorrere nel cosiddetto lancio del mazzo (e no, non siete così avanti) e finir la serata a contare i petali di rose e giunchiglie rimastivi in faccia. 
Io qualche dritta ve l’ho data, ora... a voibuona serata gente!!




7 aprile 2015


Pervinca

Il fiore di oggi mi è stato suggerito da un alterco avuto con un mio amico, maschio.
Scrivo maschio, facendo due bracciate nel mare di luoghi comuni che contrappongono uomini e donne, o più brutalmente, maschi contro femmine. Io credo nelle diversità, le differenze sono ricchezza, crescita, vita e credo meno nei luoghi comuni. In alcuni casi, però, certe discrepanze raggiungono tali distanze, inenarrabili. Io, ora, ho le prove! Differenze assolutamente vere e oggettive, ne parlò anche Piero Angela in una puntata di Superquark e Angela è il verbo quindi è vero. Oggetto del contendere? I colori, punti di vista.
Racconto. Si parlava di un oggetto, tra l’altro manco s’è capito cosa fosse (sapete quegli oggetti moderni in cui, per carità il design è fantastico, accattivante, ma è la funzione,  a meno che non fosse proprio l’osservarlo la sua funzione, che sfugge. In poche parole, sì ma cos’è?) e io ho detto “sai, ciò che più mi piace è il colore. No, non è azzurro, blu, macché, è color pervinca!!” Poi, il silenzio. Un silenzio estraneo e colmo di tensione! Sapete come i silenzi dei film western, ci mancava giusto la polvere del deserto e le immancabili palle di salsola sospinte dal vento. Invece il sottofondo musicale (Morricone ovviamente) era già partito, perché arriva in automatico in momenti del genere. E così uno di fronte all’altro, ormai non eravamo più i due amici che si guardavano negli occhi con sgomento e stupore ma, Joe e Ramón, sguardi profondi e impenetrabili e ancora silenzio, il vento che soffia… swoosh e… incredibile, sono arrivate pure le palle rotolanti e la polvere del deserto. Quando, da donna coraggiosa rompo il silenzio (mentre semplicemente da donna ripongo le palle rotolanti in giardino e do una spolveratina), sfodero le mie dissertazioni, lui spara le sue e qui il deludente e deprimente scambio di vedute.


Ho sottoposto il test a diversi soggetti, come Popper, ma in cerca di cigni maschi bianchi. Li ho trovati tutti neri. Già, per loro le sfumature sono un niente, inesistenti, inutili, non pervenute. Inutile, per loro esistono 8 colori (nero e bianco sono invece dei non colori) e le sfumature son sempre gli otto colori di prima ma versione scura o chiara e, per i più evoluti, straordinariamente, c’è anche la variante scurissima o chiarissima. I miei preferiti, i maschi, no, gli uomini daltonici. Loro si che si sforzano, ci provano, si affidano a congegni moderni pur di poter percepire un rosso, un verde o una lieve sfumatura ma… niente, tutto grigio. Chiedi qual è l’abito che ti sta meglio, quello rosso o verde e loro, il grigio scuro e poi ti guardano con quegli occhioni di chi vorrebbe ma non può. Oh cari cigni grigi, vi abbraccio, vi lodo, vi stimo! Maschi apprendete!!
Certo, e qui spezzo una lancia in favore dei fanciulli, a volte si esagera. Di recente mi son trovata, in compagnia, a fissare le ante di una cucina color grigio piuma. Si pensava a un bianco panna, bianco sporco, bianco latte ma il grigio piuma ha lasciato tutti noi basiti. Come disorientati lascia il blu Senna di notte. Sì, forse a volte si eccede un po’e allora un giallo ocra potrebbe assumere il nome di giallo Po pavese delle 12:00 o un marrone intenso sarà un brown acque del Gange, perché un’altra consuetudine è usare anglicismi per parole esaustive e non ancora estinte (per ora) nella nostra lingua, ma che dire sarà più internazionale, e così ci sono le mode del total white e via discorrendo…

Ma basta cincischiare, torniamo alla nostra pervinca. E’ una pianta erbacea, sempreverde, rustica e suffrutticosa (ossia perenne, legnosa e provvista di rami erbacei), di portamento eretto o strisciante, provvista di lunghi stoloni (fusti striscianti che emettono radici a ogni nodo) che formano un fitto tappeto erboso che va dai 20 cm ai 100-150 cm di altezza. E proprio ai suoi  verdi steli sottili, flessibili e resistenti, che intrecciandosi vanno a legarsi tra loro, si deve il nome del genere Vinca, dal latino vincìre = legare. Stessa origine latina per l’inglese periwinkle. In alcune zone del Devon o Devonshire (contea del Regno Unito, in Cornovaglia) il fiore è anche conosciuto con il nome di cut finger (probabilmente dovuto alla forma del petalo, troncata nella parte terminale tanto da somigliare a un dito tagliato) e blue button (dovuto invece al colore dei fiori che come bottoni trapuntano il verde dei cespugli, cespugli capitonnés! Che classe!).  

La pervinca è originaria dell’Europa e dei Tropici, appartiene alla famiglia delle Apocynaceae  (di cui fan parte piante prevalentemente succulente subtropicali e tropicali) e comprende numerose specie che differiscono tra loro per colore e dimensioni delle foglie e dei fiori. Posso citarne alcune, iniziando da quella forse più nota, quella a cui tutti noi pensiamo quando si parla di pervinca, la Vinca Major, per passare alla Vinca Minor Alba, che rispetto alla prima ha un fogliame più folto e fiori bianchi, o ancora la Vinca del Madagascar dai fiori bianchi e rosa e da foglie di morfologia e colore molto distante dalle prime. Quella di cui vi parlerò e di cui vedrete le foto è la Vinca Difformis Sardoa. Questa sottospecie sarda ha una corolla di minori dimensioni e talvolta una colorazione più chiara rispetto alla vinca tradizionale. 

I fiori sono inseriti singolarmente all’ascella delle foglie superiori con peduncoli (i gambi che collegano il ramo al fiore) ed hanno 5 petali ristretti verso la base e troncati nella parte terminale (ossia hanno la forma di una linea retta, trasversale). La corolla, del diametro di 4-5 cm, è gamopetala e ipocrateriforme. Gamopetala in quanto i petali, per una parte, sono saldati tra loro dando vita così al tubo corillico (mentre le parti libere dei petali, sono chiamate lobi) e ipocrateriforme perché costituita da un tubo lungo e stretto che termina con lobi lunghi di colore pervinca al cui centro si trova la fauce di color bianco (ossia l’apertura della parte tubulosa del calice del fiore, situata tra il tubo e il petalo) e infine, nel tubo corillico, sono inseriti gli stami.  La fioritura è abbondante e inizia da Marzo -   Aprile fino a Settembre - Ottobre. Le foglie sono coriacee, di 2,5-5,5 cm x 3-7 cm, di color verde scuro, lucide e glabre nella pagina superiore e più chiare e opache in quella inferiore, opposte e di forma ovato - lanceolata (ovata: a forma di uovo, più larga verso il picciolo – lanceolata: a forma di una punta di lancia) con margine intero (il bordo della foglia è liscio, senza incisioni e sporgenze).

Dalla morfologia alle proprietà. Dioscoride e Galeno (due illustri scienziati/medici greci) consigliavano di masticare le foglie fresche per contrastare epitassi e gengive sanguinanti. Non solo, le foglie eran considerate un portento contro i crampi e, per la presenza della vincamina (presente soprattutto nella Vinca Minor), per i disturbi vascolari. Mentre con l’estratto di fiori venivano trattate le irritazioni oculari e le infezioni. Ma attenzione, perché la pervinca contiene alcune sostanze, come la vincristina, che possono risultare tossiche e procurare seri problemi alla salute: da nausea e febbre a cefalea, insonnia, allucinazioni, convulsioni e coma. Quindi facciamo che… le guardiamo, innaffiamo, ammiriamo, potiamo ma non sperimentiamo… vincristina non scherza!! 

Vincristina a parte, la pervinca sicuramente colpisce per la sua delicatezza, gli innumerevoli fiori sembrano stelle che popolano  verdi cieli, ma attenzione, è tutt’altro che fragile e delicata. Si pianta in primavera e in autunno. Cresce, praticamente ovunque, dalle calde zone mediterranee a quelle ben meno miti della Gran Bretagna, dai vasi ai prati incolti, giardini abbandonati e boschi. Do comunque qualche piccolo accorgimento. Predilige le esposizioni a Nord e a mezz’ombra, meglio ancora se ai piedi di piante più grandi, ma vive discretamente anche al sole, purché, nei periodi più caldi, si innaffi onde evitare l’ingiallimento delle foglie e dei fusti (e nel farlo ricordate di evitare i ristagni). Si pota lasciando i fusti alti circa 10 cm ma, per esperienza, vi dico di non temere e di tagliare senza alcun indugio. Sono piante invasive, si allargano con estrema facilità e una volta inserite in giardino è piuttosto arduo circoscriverle. Personalmente ho provato anche a eliminare qualche cespuglio con potature senza un domani ma irrimediabilmente ecco nuove piante che vigorosamente e spudoratamente tappezzano il giardino (e gli stoloni sotterranei… nooo… è una guerra impari). Pervinca1 - Io0. Quindi tenetela sott’occhio con forbici e piccone agguerriti.


Dalla scienza alla magia. Presso i Celti la pervinca era particolarmente cara agli stregoni, tanto da essere nota come la violette des sorciers, per preparare pozioni contro attacchi demoniaci, animali feroci, invidie e paure. Ma tra gli infusi più quotati la pervinca era l’assoluta protagonista dei filtri d’amore. Considerato il cibo di Venere, lo si proponeva per aumentare la fertilità e per garantirsi un duraturo legame sentimentale. Le foglie, unite a quelle di magnolia, venivano infilate nel materasso nuziale per mantenere l'amore e la fedeltà. Avranno funzionato? Mah! Per sicurezza siglate la vostra unione con un mazzetto di pervinche a fianco al vostro contratto prematrimoniale. E non solo, per risvegliare sensi ormai sopiti, un frate domenicano, il tedesco Albertus Magnus, proponeva una ricetta a base di pervinca in polvere, porri e lombrichi da aggiungere ai pasti della coppia arrugginita. 
Dalla vita alla morte, due realtà legate alla terra e alla vita. In Italia i suoi rami venivano incrociati per ricavarne delle corone da porre sulle tombe dei bambini, per accompagnarli nel loro ultimo viaggio. Corone fatte anche in Inghilterra ma poste sul capo dei prigionieri condotti al patibolo. Come lo scozzese Simon Fraser, catturato dai rivali inglesi e condotto all’impiccagione incatenato a cavallo con la testa incoronata da una ghirlanda di pervinche. In Francia la pervenche era considerata un simbolo di amicizia, in memoria di Jean-Jacques Rousseau e la sua amicizia con Madame de Warens.

Curiosità: anticamente, a simboleggiare la verginità della novella sposa, per la prima notte di nozze si ponevano quattro mazzetti di pervinca agli angoli del letto. Di questa pratica abbiamo testimonianza in una canzone francese del XVIII secolo. Oggi questa pratica non ha ragione di esistere e le pervinche proliferano in ogni dove senza il timore di esser decimate per i mazzetti delle vergini!! Aux marches du palais… aux quatre coins du lit (ai 4 angoli del letto) -  un bouquet de pervenches, Lonla – un bouquet de pervenches… Canta della bella Lonla che si innamora, si sposa e saranno felici e contenti… jusqu'à la fin du monde (fino alla fine del mondo).

Oggi il valore simbolico della pervinca è legato al ricordo, alla sua tenacia, forza e malinconia. Regalare una pervinca esprime il desiderio di lasciare e conservare per sempre un dolce ricordo. Magari a una persona che non vedremo più, per sancire l’eterno delicato ricordo, come un sorriso in estate su di una vecchia foto… jusqu’à la fin du monde!